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In Piemonte pionieri nelle sperimentazioni dei farmacisti di comunità

L'INTERVISTA

In Piemonte pionieri nelle sperimentazioni dei farmacisti di comunità

«Nella nostra Regione siamo partiti dagli screening oncologici, dall’ipertensione, dal Fse e dall’Inr, che saranno forniti anche in zone remote come le nostre valli», ci dice Paola Brusa, docente di Normativa e Tecnologia farmaceutiche dell’Università di Torino

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22 luglio 2020

di Carlo Buonamico

La Regione Toscana ha approvato uno schema di accordo con Federfarma Toscana e la Confederazione italiana servizi pubblici enti locali per avviare la sperimentazione della farmacia dei servizi. Tra i servizi di cui si occuperà la farmacia, il monitoraggio dell’aderenza alla terapia nei pazienti con Bpco e la telemedicina: a che punto è la situazione nella Regione Piemonte, che è stata pioniera anni fa con un progetto di sperimentazione sulla farmacia dei servizi?

I cronoprogrammi dovevano essere stilati dalle nove Regioni prescelte entro il 31 dicembre dello scorso anno. Come Regione Piemonte abbiamo rispettato la scadenza. La farmacia dei servizi prevede 12 programmi e tutte le Regioni sono tenute a svilupparli tutti. A seconda del cronoprogramma definito da ciascuna Regione, i vari servizi possono essere messi in atto secondo priorità differenti. In Piemonte abbiamo deciso di partire dagli screening oncologici, dall’ipertensione, dal Fascicolo sanitario elettronico e dall’Inr. Quest’ultimo servizio per noi è un progetto regionale, non nazionale. Siamo l’unica Regione che vede la compresenza di progetti nazionali e regionali.

Si è scagliato contro la farmacia dei servizi il Sindacato dei medici italiani (Smi) Toscana, secondo cui la presa in carico dei pazienti è una prerogativa che non può prescindere dal medico perché è essa stessa un atto medico che fa parte del rapporto medico-paziente. Il farmacista è però l’esperto del farmaco per antonomasia: come si può affermare che non sia di sua competenza, per esempio, il controllo dell’aderenza alla terapia?

Prima dei cronoprogrammi, la scorsa primavera furono sottoscritte delle linee-guida da tutti gli Ordini dei professionisti sanitari – medici, infermieri e farmacisti – e da tutti i sindacati oltre che dal ministero della Salute e da Cittadinanzattiva. Un sindacato di una Regione è libero di dire che le linee-guida o i progetti non piacciono, ma resta il fatto che i referenti nazionali hanno sottoscritto un accordo che prevede una sperimentazione di tre anni per capire quali di questi servizi è più opportuno portare avanti nelle farmacie di comunità.
Credo molto in questa sperimentazione. In Piemonte ne abbiamo condotte altre simili da una decina d’anni, lavorando con Federfarma, l’Ordine e il decisore pubblico. Certo il “boccino” resta nelle mani del medico curante per qualunque sperimentazione si voglia fare. Ma ci sono indicazioni piuttosto chiare che indicano che tutti i professionisti sanitari si occupino del paziente secondo le proprie competenze. Il termine “presa in carico”, che forse è il punto che pare irritare il sindacato dei medici toscani, di fatto rientra nel Codice deontologico del farmacista all’articolo 13 dal maggio del 2018. Ciò significa che questo concetto non è riferito esclusivamente all’atto medico, ma al prendersi cura del paziente ciascuno secondo le proprie competenze.
Per quanto riguarda la Bpco, in Regione abbiamo già fatto questo tipo di sperimentazione e a nostro avviso è fondamentale che il farmacista, quando si trova di fronte un paziente con questa patologia – e lo sa leggendo la prescrizione del medico curante – ricordi al paziente quanto è importante il regime posologico. La letteratura internazionale ci insegna che nella terapia della Bpco più del 50 per cento dei pazienti non è aderente alla terapia. Terapia che lo Stato paga.
Da qualche mese sono stata indicata a livello regionale come rappresentante dei farmacisti nella task-force che si occupa della riorganizzazione della sanità territoriale. Nell’ambito di questa attività abbiamo trovato il pieno accordo con il presidente dell’Ordine dei medici di Torino circa la rilevanza del ruolo del farmacista nello spiegare ai pazienti con Bpco e asma proprio il funzionamento dei dispositivi medici per la terapia di queste patologie.

Più a livello pratico Smi sostiene che il “controllo” della presa in carico delle cronicità così come la decisione sulla possibilità o meno di servirsi della telemedicina per assistere i pazienti, anche fragili e anziani, deve spettare al Mmg. E che gli altri professionisti della salute, tra cui i farmacisti, devono essere coordinati e controllati dal Mmg. Si tratta a suo avviso di una questione di forma o anche di sostanza?

Controllare mi pare una parola un po’ forte. Ribadendo che il “boccino” è nelle mani del medico, nel momento i cui c’è una collaborazione tra professionisti che regola i rispettivi ambiti d’azione l’unica cosa rilevante è la condivisione delle attività portate avanti dai singoli professionisti della salute. In Piemonte, per esempio, stiamo accelerando il progetto sul Fascicolo sanitario elettronico. Ora che secondo una legge nazionale esso può essere alimentato senza il consenso del cittadino, diventa fondamentale che ciascun paziente dia il consenso alla consultazione. In questo modo ciascun professionista sanitario potrà accedere ai dati del paziente secondo i propri ambiti di competenza e, quindi, dare il proprio contributo per una più efficiente gestione della terapia, troppo spesso seguita in modo improprio. Con gravi conseguenze in termini di costi sanitari diretti e indiretti.

E come si potrebbe conciliare questa posizione con l’ipotesi di istituire il farmacista di famiglia che in qualche modo assumerebbe alcuni tratti tipici del medico di famiglia? Come a suo parere, insomma, farmacia dei servizi (che vorrebbero i farmacisti) e ospedale diffuso (l’idea dei medici) possono convivere?

Credo che il “farmacista di famiglia” sia una sciocchezza. L’attuale pianta organica di fatto rende già presente questa figura. Ciascuno di noi, infatti, si può già recare nella farmacia più vicina in caso di emergenza o dal farmacista di fiducia per un consulto. Questo è, di fatto, il farmacista di famiglia. Senza necessità di dover inventare un nuovo lemma. Qualora il farmacista si faccia carico di nuovi servizi sanitari da erogare in farmacia, può essere remunerato in base alle convenzioni esistenti sulla sperimentazione o, come faremo in Piemonte, in base a quanto si renda necessario a livello territoriale. Ciò che è importante, invece, è che si possa usufruire di questi servizi anche nelle valli. Non si tratta di un problema di farmacie rurali o urbane in base al numero di abitanti. Ma è una questione di Comuni che hanno pochissimi abitanti che, per raggiungere il Comune limitrofo dove c’è un ambulatorio che eroga un dato servizio, devono percorrere molti chilometri, spesso prendendo mezzi pubblici con bassa frequenza ecc. Nel caso dell’Inr o della misurazione della glicemia, per esempio, il vantaggio sociale è enorme se il paziente può accedere a queste analisi nella farmacia sotto casa, naturalmente dietro prescrizione del medico curante a cui vengono trasmessi i risultati in via telematica. Diverso sarebbe dover prenotare presso un centro di analisi, essere messi in lista d’attesa, doversi recare presso il centro per effettuare l’analisi e poi per ritirare il referto e poi doverlo inviare al proprio medico. In sintesi, si tratta di fiducia reciproca rispetto alle attività delle singole professioni nell’ambito dei rispettivi confini dettati dalla deontologia.

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