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Covid-19: farmacie senza vincoli merceologici

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Covid-19: farmacie senza vincoli merceologici

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Con il contributo di

Dompé

Durante l’emergenza Coronavirus nessuna norma vieta alle farmacie di vendere tutti i beni che abitualmente commercializzano, compresi cosmetici e articoli per l’infanzia; ma chi va in farmacia appositamente per acquistare soltanto tali beni rischia le sanzioni per violazione delle misure di prevenzione dell’epidemia da Covid-19.

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9 aprile 2020

di Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta

In questi giorni la Guardia di Finanzia svolge controlli a tappeto per prevenire speculazioni sulla vendita di mascherine, disinfettanti e dispositivi di protezione individuale (Dpi). Nelle farmacie vengono verificati la congruità dei ricarichi e la corretta esposizione dei prezzi di vendita; nella quasi totalità dei casi non vengono rilevate violazioni e viene attestata a verbale la piena regolarità del comportamento del farmacista.

Da alcune segnalazioni emerge tuttavia che alcuni verificatori sostengono che i prodotti diversi dai medicinali e prodotti sanitari non possano essere venduti. Addirittura in alcuni casi è stato imposto di esporre sui reparti di cosmesi e articoli per l’infanzia appositi cartelli con la dicitura “merce non in vendita”. Si tratta di una interpretazione molto discutibile dei provvedimenti in vigore, che riteniamo non corretta.

Il primo provvedimento restrittivo (Dpcm 11 marzo 2020) stabilisce che sono sospese «le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità», ma «restano aperte … le farmacie». L’esercizio della farmacia – che per legge costituisce oggetto esclusivo delle “società speziali”, che ne sono titolari – è un servizio di pubblica necessità e comprende indistintamente tutte le attività di dispensazione, di vendita e di servizio che sono svolte al suo interno sulla base della concessione regionale e dell’autorizzazione all’esercizio. La tabella merceologica della farmacia (stabilita da un decreto del 1988) comprende, oltre ai medicinali, una nutrita serie di prodotti tra cui ad esempio: articoli di puericoltura, prodotti cosmetici e per l’igiene della persona, alimenti per piccoli animali. Non si può distinguere tra l’uno o l’altro settore merceologico dei prodotti abitualmente commercializzati (anche attraverso il noleggio), perché tutti indistintamente sono rientranti nell’oggetto esclusivo dell’impresa-farmacia. Le uniche attività che debbono essere sospese anche dalle farmacie sono quelle, di natura non sanitaria, che si fondano su una autorizzazione distinta ed autonoma, come per esempio l’attività della cabina estetica.

Una deroga di tipo soggettivo

Con riferimento alle indicazioni circa i “prodotti non vendibili” correttamente allocati negli scaffali per la vendita di libero accesso in farmacia e in particolare ai prodotti destinati alla cura della persona (profumi, creme corpo ..) e ai giocattoli, riteniamo infatti che nel Dpcm del 11 marzo 2020, contenente “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, applicabili sull’intero territorio nazionale” (Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 64 del 11.03.2020), siano state fornite due distinte tipologie di indicazioni. Infatti all’art.1 (Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale) è previsto che «allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus Covid-19 sono adottate, sull’intero territorio nazionale, le seguenti misure»:

  • per alcune filiere, viene indicato solo il profilo merceologico dei beni e servizi autorizzati a proseguire l’attività. L’articolo 1, comma 1, n. 1) dispone infatti che «Sono sospese le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità individuate nell’allegato 1»;
  • per talune specifiche imprese, invece, la deroga è di tipo soggettivo, riferita alla tipologia di operatore economico e non alla merceologia dei beni trattati. La disposizione recita infatti: «restano aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie, le parafarmacie».

Mentre per i generi alimentari e di prima necessità viene disposta una eccezione alla generale sospensione dell’attività, le farmacie “restano aperte”: esse sono state escluse dalla generale sospensione delle attività di commercio al dettaglio per la propria tipologia di attività e non per classificazione merceologica dei beni venduti.

Con successivo Dpcm del 22 marzo 2020 – (Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 76 del 22.03.2020) sono state «sospese tutte le attività produttive industriali e commerciali, a eccezione di quelle indicate nell’allegato 1 e salvo quanto di seguito disposto»… Sempre all’art. 1) si stabilisce che “Resta fermo, per le attività commerciali, quanto disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020 e dall’ordinanza del Ministro della salute del 20 marzo 2020», laddove il riferimento di esclusione (dunque di apertura) è riferito, come detto, alla tipologia di attività.

Solo per scrupolo, si riporta il contenuto della lettera f) in cui viene precisato che è sempre consentita l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici nonché di prodotti agricoli e alimentari. Resta altresì consentita ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza, ma in questo caso la deroga deve necessariamente riferirsi all’intera attività di filiera a monte della farmacia.

Un’interpretazione frettolosa

Probabilmente l’atteggiamento restrittivo di alcuni verificatori che accedono in farmacia è dettato da una lettura frettolosa del provvedimento del 22 marzo 2020, che dispone la sospensione di tutte le attività produttive industriali e commerciali diverse da quelle elencate nella tabella dei codici Ateco allegata al decreto. Tra i codici Ateco non è compreso quello della farmacia, ma si prevede che «è sempre consentita l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici»: qualcuno deve aver pensato che sia quindi vietata anche alle farmacie ogni attività diversa dalla commercializzazione di farmaci e dispositivi.

Ma si tratta di una interpretazione frettolosa ed erronea: il Dpcm del 22 marzo, infatti, espressamente prevede che le nuove misure si applicano non in sostituzione, ma cumulativamente alle precedenti; l’art. 2 contenente le Disposizioni finali prevede infatti che «Le disposizioni del presente decreto producono effetto dalla data del 23 marzo 2020 e sono efficaci fino al 3 aprile 2020. Le stesse si applicano, cumulativamente a quelle di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 marzo 2020 nonché a quelle previste dall’ordinanza del Ministro della salute del 20 marzo 2020 i cui termini di efficacia, già fissati al 25 marzo 2020, sono entrambi prorogati al 3 aprile 2020».

Il successivo Dpcm 1° aprile 2020 dispone la proroga delle misure di contenimento sino al 13 aprile ed all’art. 1 espressamente è previsto che la proroga degli effetti riguarda non solo il Dpcm 22 marzo, ma anche le misure dell’11 marzo, tra le quali è contenuta quella che «restano aperte … le farmacie». Giocoforza concludere, allora, che le farmacie restano aperte con la piena operatività, senza limitazioni di alcun genere sulla tipologia dei beni vendibili.

La farmacia, oltretutto, è un servizio di interesse pubblico per il quale anche il successivo Dpcm del 22 marzo 2020 prevede, all’art. 1, lett. e), che «sono comunque consentite le attività che erogano servizi di pubblica utilità»: sono consentite le attività in quanto tali, non la vendita dei beni appartenenti a una data merceologia.

In definitiva riteniamo che, a eccezione dei servizi di cura della persona, quali i servizi di cabina estetica, non esistano a oggi provvedimenti restrittivi in ordine alla libera vendita di tutti i prodotti comunemente venduti nell’esercizio dell’attività di farmacia.

Questa inevitabile conclusione non comporta tuttavia alcun rischio che le farmacie facciano concorrenza sleale alle profumerie che restano chiuse: il cittadino che andasse in farmacia al solo scopo di acquistare cosmetici, infatti, sarebbe soggetto alle (aumentate) sanzioni irrogabili a chi viola il divieto di spostamento, perché non si tratterebbe né di una situazione di necessità né di motivi di salute.

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