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Assalto alla Farmacia delle Grucce

FOCUS FARMACIA

Assalto alla Farmacia delle Grucce

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Con il contributo di

Dompé

Sulla vicenda delle mascherine, politici e governanti stanno rileggendo “I Promessi Sposi” alla rovescia ma porgere l’altra guancia, da parte dei farmacisti, è stata necessità o strategia? Nel frattempo stampate l’inventario al 26/4, conservate fatture e bolle doganali e tutti i documenti commerciali riservati ai clienti, con un occhio al Gdpr.

Clicca play per guardare il video abstract (durata: 3:20 minuti)

In tempi di Covid-19 ci sentiamo anche noi in dovere di formulare la nostra teoria del complotto, che per fortuna è estremamente semplice: politici e governanti stanno leggendo i Promessi Sposi alla rovescia!

Prima di dimostrare la nostra teoria, facciamo un po’ di chiarezza sulle mascherine.

I tipi di mascherine e il loro regime di vendita

Il prezzo di vendita delle mascherine facciali è stato stabilito in 0,50 euro l’una, oltre Iva (quindi 61 centesimi prezzo al pubblico Iva compresa) dall’ ordinanza n. 11 del 26 aprile 2020 del Commissario Arcuri. Dopo aver ascoltato il primo ministro Conte nella conferenza stampa della domenica sera, i cittadini avevano creduto di poter acquistare qualunque mascherina a 50 centesimi; hanno poi scoperto, leggendo il testo dell’ordinanza, che tale prezzo va maggiorato di Iva (arrivando a 61 cent con l’aliquota attuale del 22 per cento) e riguarda solo le cosiddette “mascherine altruiste” o chirurgiche classificate come dispositivi medici e rispondenti allo standard UNI EN 14683.  Il prezzo delle altre mascherine, sia quelle Ffp2 e Ffp3 (cosiddetti Dpi) sia quelle prodotte ai sensi dell’art 16 c. 2 Dl 18/2020, rimane libero.

Il Governo ha annunciato l’intenzione di eliminare l’Iva: è tutto da vedere che questo sia consentito dalle direttive Ue, che per l’esenzione dettano requisiti stringenti. Sarebbe necessaria un’autorizzazione comunitaria ad agire in deroga o, più probabilmente, potrà essere applicata una aliquota ridotta come avviene per i beni di prima necessità (in Italia il 4 per cento).

Prima di commentare nel dettaglio il “prezzo imposto”, riepiloghiamo brevissimamente i tipi di mascherine oggi in commercio, per evitare confusione.

Le mascherine chirurgiche hanno lo scopo di evitare che chi le indossa contamini l’ambiente, in quanto limitano la trasmissione di agenti infettivi e ricadono nell’ambito dei dispositivi medici di cui al d.lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 e s.m.i.. Sono utilizzate in ambiente ospedaliero e in luoghi ove si presti assistenza a pazienti (per esempio, case della salute, ambulatori, eccetera). Le mascherine chirurgiche, per essere sicure, devono essere prodotte nel rispetto della norma tecnica UNI EN 14683:2019, che prevede caratteristiche e metodi di prova, indicando i requisiti di resistenza a schizzi liquidi, traspirabilità, efficienza di filtrazione batterica e pulizia da microbi. La norma tecnica di riferimento UNI EN ISO 10993-1:2010 ha carattere generale per i dispositivi medici e prevede valutazione e prove all’interno di un processo di gestione del rischio.

facciali filtranti (mascherine Ffp2 e Ffp3) sono utilizzati in ambiente ospedaliero e assistenziale per proteggere l’utilizzatore da agenti esterni (anche da trasmissione di infezioni da goccioline e aerosol), sono certificati ai sensi di quanto previsto dal d.lgs. n. 475/1992 e sulla base di norme tecniche armonizzate (UNI EN 149:2009). La norma tecnica UNI EN 149:2009 specifica i requisiti minimi per le semimaschere filtranti antipolvere, utilizzate come dispositivi di protezione delle vie respiratorie (denominati Fpp2 e Fpp3), ai fini di garantirne le caratteristiche di efficienza, traspirabilità, stabilità della struttura attraverso prove e test tecnici.

Veniamo alla marcatura CE e alla procedura alternativa Inail/Iss.

Marcatura CE o certificazione Inail/Iss non danno di per sé una classificazione univoca perché il marchio CE è solo un attestato di conformità alle norme comunitarie specifiche applicabili al tipo di prodotto, che variano da prodotto a prodotto. Quindi “CE” viene apposto:

  1. sia sulle mascherine chirurgiche e allora la marcatura “CE” sarà un attestato di conformità alla direttiva comunitaria sui dispositivi medici (direttiva 93/42/Cee) e alla norma interna di recepimento della direttiva, ossia il D.Lgs. n.46/97 e s.m.i.. La spesa per l’acquisto di tali prodotti è sicuramente detraibile per chi compra (meglio se dallo scontrino risulta anche la dicitura “marcatura CE” o “conforme direttiva 93/42/Cee” così chi compra non ha obbligo di conservare la confezione). La vendita va battuta come dispositivo medico (adesso si suggerisce la con dicitura speciale “ordinanza 11/2020” o simili per rendere identificabile la vendita);
  2. che sui Dpi filtranti e allora la marcatura “CE” sarà un attestato di conformità al regolamento UE 2016/425 sui Dpi e alla norma interna D.lgs. n. 475/1992 e s.m.i. Alla vendita il Dpi NON va battuto come dispositivo medico. È sconsigliato battere come “parafarmaco”, mentre è raccomandato creare una specifica categoria (ad es. “Dpi marcatura CE” oppure “Dpi Ffp2/Ffp3” o simili). Raccomandiamo la categoria specifica perché in caso di verifica della GdF sui ricarichi sarà più agevole identificare le vendite e ricostruire la filiera di acquisto; inoltre la spesa oggi non è detraibile per le persone fisiche, ma dà diritto a credito d’importa per le imprese e, probabilmente, in futuro diverrà detraibile anche per le persone fisiche. Infine, qualche datore di lavoro o ente potrebbe rimborsare gli acquisti: se il farmacista si abitua a battere già con la dicitura “Dpi marcatura CE” o simili, eviterà in futuro di avere contestazioni per gli acquisti fatti oggi. Dallo scontrino potrebbe risultare anche la dicitura “marcatura CE” o “conforme direttiva 93/42/Cee” così chi compra non ha obbligo di conservare la confezione, ovviamente se i Dpi sono conformi.
  3. Le mascherine “generiche” non vanno vendute né come dispositivi, né come Dpi, e ben possono essere battute come semplice “parafarmaco.”

Veniamo ora alle “certificazioni in deroga”. Per la gestione dell’emergenza Covid-19, l’articolo 15 del Decreto “Cura Italia” prevede due distinte e separate procedure di validazione straordinaria, una per le mascherine chirurgiche e un’altra per i dispositivi di protezione individuale.

1) Le mascherine facciali/chirurgiche ad uso medico (Dm) sono validate, in via straordinaria e in deroga alle normative vigenti dall’Istituto superiore di sanità (Iss). Una volta completata la procedura, sono commercializzabili come dispositivi medici e quindi seguono le regole del caso “a)” sopra indicato. L’elenco e le spiegazioni si trovano sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità.

2) I dispositivi di protezione individuale (Dpi) sono invece validati, in via straordinaria e in deroga alle normative vigenti, dall’Inail. Una volta completata la procedura, sono commercializzabili come dispositivi medici   e quindi seguono le regole del caso “a)” sopra indicato. L’elenco e le spiegazioni si trovano sul sito dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro.

Sui siti di Iss e Inail si possono verificare i prodotti rispettivamente certificati in deroga: nel primo elenco abbiamo prodotti assimilati a mascherine chirurgiche/dispositivi medici; nel secondo elenco assimilate a Dpi.

Ogni altra mascherina reperibile in commercio, diversa da quelle sopra elencate, non è un dispositivo medico né un dispositivo di protezione individuale; può essere prodotta – come abbiamo detto – ai sensi dell’art. 16, comma 2, del D.L. 18/2020, sotto la responsabilità del produttore che deve comunque garantire la sicurezza del prodotto (a titolo meramente esemplificativo: che i materiali utilizzati non sono noti per causare irritazione o qualsiasi altro effetto nocivo per la salute, non sono altamente infiammabili, eccetera). Per queste mascherine non è prevista alcuna valutazione dell’Istituto superiore di sanità e dell’Inail; non possono essere utilizzate in ambiente ospedaliero o assistenziale in quanto, non hanno i requisiti tecnici dei dispositivi medici e dei dispositivi di protezione individuale. Chi la indossa deve comunque rispettare le norme precauzionali sul distanziamento sociale e le altre introdotte per fronteggiare l’emergenza Covid-19. Possono essere commercializzate dalle farmacie ma non possono essere “spacciate” per Dpi/Dispositivi medici quindi vanno battute con codifica a parte e preferibilmente con confezione (o almeno cartello in farmacia che specifichi che non si tratta di Dpi o Dispositivi medici).

Per ciascun tipo di mascherina, il farmacista deve quindi porre molta attenzione al momento dell’acquisto accertando presso il fornitore il tipo di mascherina e la relativa documentazione tecnica, assicurandosi che esista la marcatura CE (impressa su ogni pezzo) per i primi due tipi, oppure la rispettiva certificazione in deroga di Iss o di Inail.

Per la verifica della presenza di marcatura CE relativa alle mascherine già autorizzate prima dell’emergenza (che quindi non sono presenti sui siti di Inail e Iss) si possono usare le banche dati pubbliche: www.certifica.it e, per i prodotti provenienti da altri Paesi dell’Unione europea, la banca dati NANDO.

Sono le stesse banche dati usate dai verificatori in caso di controllo e, dimostrando di averle consultate, al farmacista non potrà mai essere contestato di aver compiuto un incauto acquisto.

Per le mascherine “comuni” prodotte ai sensi del Cura Italia, il farmacista acquisirà dal produttore tutta la relativa documentazione tecnica attestante la sicurezza del prodotto e una dichiarazione scritta del fornitore di conformità all’art. 16 comma 2 Dl 18/2020.

Il Commissario Ferrer

Veniamo ora alla nostra conspiracy theory.

Sappiamo bene che è stata dimostrata con rigoroso metodo probabilistico l’impossibilità che un presunto complotto resti segreto (si veda lo spassoso articolo di Grimes).

Non ignoriamo nemmeno che la nuova tendenza à la page è quella di “affermare il complotto senza nemmeno dimostrare la teoria”: è la “conspiracy without theory”, su cui si veda l’illuminante libro di Nancy L. Rosenblum and Russell Muirhead A lot of people are saying (i cui autori sono intervistati da The Economist).

Noi, che siamo complottisti “vecchia maniera”, vogliamo invece provare a dimostrare la nostra teoria, ossia che governo e politici stanno navigando “contromano” nel romanzo di Manzoni. Osserviamo allora che:

  • all’inizio si è negata l’esistenza dell’epidemia (come Don Ferrante, capitolo XXXVII, in fine);
  • poi la spasmodica ricerca del paziente zero («…l’untore! dagli! dagli! dagli all’untore!» cap. XXXIV);
  • si è infine dovuto prendere atto che «a chi la tocca, la tocca» (cap. XXXIII);
  • poi si è dato spazio ad una risibile girandola di fake news sui fantomatici laboratori cinesi fucine della peste («piace più d’attribuire i mali ad una perversità umana, contro cui si possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi», cap. XXXII);
  • la richiesta di provvidenze pubbliche (sempre cap. XXXII, all’inizio);
  • il capitolo XXXI, infine, è una così magistrale narrazione di quello che è accaduto dopo, da essere stato nuovamente tradotto anche negli USA e pubblicato online il 6 aprile (si veda il sito Literary Hub).

Giunti a questo punto, i governanti sono rimasti senza idee. Che altro spunto prendere da quel bellissimo romanzo? Andando a ritroso si legge della guerra del Monferrato, della vicenda dell’Innominato, le peripezie di lucia da Monza al castellaccio di quest’ultimo: pagine pregevoli, ma che non offrono spunti. Eppure, con un po’ di pazienza, qualcuno (sospettiamo il Commissario) deve essere risalito fino al capitolo XII, dal quale ha avuto una splendida illuminazione.

Immaginatevi il dott. Arcuri che, arrovellatosi da giorni sul problema delle mascherine, la sera del 25 aprile, tornato a casa e sedutosi al suo scrittoio per leggere al lume di candela, incappi in questo inatteso passo: «la penuria si fece subito sentire, e con la penuria quel suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rincaro. Ma quando questo arriva a un certo segno, nasce sempre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di valentuomini, pensate in quel tempo!), nasce un’opinione ne’ molti, che non ne sia cagione la scarsezza. Si dimentica d’averla temuta, predetta; si suppone tutt’a un tratto che ci sia grano [qui Arcuri legge: mascherine] abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo».  Ed infatti – riflette –  da molti esponenti politici «S’imploravan da’ magistrati que’ provvedimenti, che alla moltitudine paion sempre, o almeno sono sempre parsi finora, così giusti, così semplici, così atti a far saltar fuori il grano, nascosto, murato, sepolto, come dicevano, e a far ritornare l’abbondanza». Avanzando poco oltre nel capitolo, il nostro Commissario improvvisamente solleva il capo e si sfila dal naso gli occhiali da lettura, gli occhi sgranati e lo sguardo fisso avanti sé, con l’aria di chi abbia avuto una visione; gli occhiali nel pugno fermo a mezz’aria, che proietta sul muro una lunga ombra alla luce della candela. Con la stessa espressione di Gene Wilder in Frankenstein Junior scandisce lentamente: «…si … può…fare!!».

Donde viene questa fulminea illuminazione? Il dott. Arcuri si è immedesimato in Antonio Ferrer: «costui vide, e chi non l’avrebbe veduto? che l’essere il pane a un prezzo giusto, è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla. … fissò la meta del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano [la mascherina] si fosse comunemente venduto trentatré lire [33 centesimi] il moggio: e si vendeva fino a ottanta. Fece come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovanire, alterando la sua fede di battesimo».

La mattina dopo (siamo al 26 aprile), baldanzoso e rincuorato, pone mano alla stesura della funesta ordinanza 11/2020, con lo stile proprio delle grida manzoniane: rilevando che un «aumento della domanda potrebbe comportare, per le mascherine “chirurgiche”, ritenute “beni strumentali utili a fronteggiare l’emergenza” e, quindi, beni di primaria necessità, una lievitazione ingiustificabile dei prezzi al consumo» (Ferrer docet) «ritiene necessario intervenire, per calmierare tale eventuale ingiustificabile lievitazione dei prezzi al consumo di detti prodotti, definendo un prezzo massimo raccomandato [così testualmente la premessa dell’ordinanza] di vendita al consumo», e così adotta il seguente articolo unico: «il prezzo finale di vendita al consumo dei prodotti indicati nell’allegato 1 [mascherine “chirurgiche” standard UNI EN 14683], praticato dai rivenditori finali, non può essere superiore, per ciascuna unità, ad € 0,50, al netto dell’imposta sul valore aggiunto».

Ed ecco che, magia, il nostro Commissario è convinto di aver risolto tutti i problemi!!

Ne siamo sicuri?

Ferrer ha torto marcio

Quelli, come noi, hanno espresso critiche (che vedremo assai fondate) sono stati bollati in diretta Tv come «liberisti che parlano dal salotto di casa, sorseggiando il loro cocktail». È il caro, vecchio stratagemma n. 38 di Schopenhauer (L’arte di ottenere ragione edizione italiana per i tipi di Adelphi, 1991): «Quando ci si accorge che l’avversario è superiore e si finirà per avere torto, si diventi offensivi, oltraggiosi, grossolani». La prova provata che Arcuri sa bene di avere torto marcio, per usare le parole con cui lo stesso Schopenhauer presenta l’ultimo stratagemma.

Da che parte stia il torto marcio, si dimostra con pochi lineari passaggi.

È certamente legittimo, e pienamente giustificato dall’emergenza, un intervento sui prezzi dei beni di prima necessità; la tutela della salute pubblica va però correttamente bilanciata con l’autonoma privata, anch’essa tutelata dalla Costituzione. La Corte costituzionale stabilisce infatti due limiti invalicabili:

  1. la riserva di legge ex art 23 Cost.: nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Tale riserva è applicabile anche alla disciplina del prezzo imposto e agli sconti obbligatori (ben noti ai farmacisti). Per regolamentare i prezzi occorre una legge che lo consenta, secondo un principio enunciato fin dalle lontane sentenze n. 4/1953 e n. 70/1960;
  2. non basta avere il potere di imporre i prezzi, bisogna anche saperlo usare. È giurisprudenza granitica della Corte costituzionale che il prezzo imposto deve garantire comunque la copertura dei costi e «quel ragionevole margine di guadagno che costituisce indubbiamente il nucleo inviolabile e il fine incoercibile dell’iniziativa economica privata delle imprese» come stabilì, proprio in materia di farmaci, la storica sentenza n. 279/2006 (e si veda anche la sentenza Cons. Stato, 10.12.2013, n. 5910, sul “decreto Abruzzo”).

L’ordinanza del 26 aprile è illegittima perché viola entrambi i principi dettati dalla Corte Costituzionale.

In primo luogo, è stata adottata senza una specifica copertura legislativa: il Commissario Ferrer dichiara di agire in forza dei poteri di cui all’articolo 122 del Dl 18/2020, ma tale articolo – per quanto latamente interpretato – non prevede il potere di fissare d’autorità il prezzo di vendita nella contrattazione tra privati.

In secondo luogo, se anche tale potere esistesse, sarebbe stato male esercitato perché non è stata condotta alcuna istruttoria per verificare con le imprese interessate quale sia il giusto prezzo, sostenibile tanto per i cittadini quanto per gli operatori economici.

Un dialogo con le imprese della filiera avrebbe consentito di stabilire un prezzo pur sempre accessibile al pubblico, ma idoneo come minimo a coprire i costi di produzione e di distribuzione. Le farmacie hanno in magazzino mascherine acquistate a costi anche doppi rispetto al prezzo imposto: di fatto viene loro imposto di vendere ampiamente sottocosto, in contrasto con tutti i principi costituzionali che regolano la materia. Le farmacie vengono di fatto costrette a vendere in perdita e smetteranno probabilmente di distribuire le mascherine chirurgiche. Inoltre, cosa assai più grave, il prezzo imposto lede tutte le imprese italiane che meritoriamente hanno iniziato a produrre mascherine e che saranno costrette ad abbandonare il mercato.

Il Commissario è dovuto così tornare sui propri passi e concludere con Federfarma, Fofi e Assofarm appositi accordi per ristornare i farmacisti ed assicurate forniture aggiuntive a un prezzo inferiore a quello massimo fissato dall’ordinanza.

Il rimedio che meritoriamente Federfarma ha cercato e trovato è una pecetta calda sulla ferita aperta. Il Maestro Nicoloso direbbe “Xe pèso el tacòn del buso”: da un lato, costringe i farmacisti a raccogliere un’ampia quantità di dati per documentare le proprie perdite da vendita sottocosto; dall’altro, consentirebbe – a quanto si apprende – di recuperare la differenza tra costo d’acquisto e prezzo sottocosto, ma non il margine di utile (ricarico) che ragionevolmente, per quanto contenuto, il farmacista ha diritto di applicare.

I numerosi controlli di Nas e Gdf fatti in queste settimane certificano che i titolari (salvo pochissime disdicevoli eccezioni giustamente stigmatizzate dalla categoria) certamente si comportano correttamente e non speculano sulle mascherine.

Il principio giuridico però andrebbe difeso: non si può lavorare a margine zero, e soprattutto, non si può partire dal prezzo al pubblico se non hai prima accertato i costi di produzione e distribuzione.

Si dovrebbe quindi lavorare per una copertura legislativa più salda, con provvedimento avente forza di legge, e per un sistema di determinazione dei prezzi che, come per il farmaco, distribuisca correttamente costi e margini lungo la filiera. Ma questi sono solo desiderata per il futuro.

Cosa fare?

Che fare ora? Il prezzo massimo di vendita delle mascherine facciali è in 0,50 euro l’una oltre Iva solo per le mascherine chirurgiche, e riguarda il prezzo finale di vendita al consumo: probabilmente la vendita B2b (ad aziende che acquistano per i propri dipendenti in vista della fase 2) può esser fatta anche a un prezzo più alto anche sotto il vigore dell’ordinanza (illegittima) 11/2020. Certo il farmacista dovrà valutare la ricaduta di immagine: dire “Non vendo al pubblico, ma vendo ad aziende a prezzo più alto” espone al rischio di accuse (per quanto ingiustificate) di sciacallaggio. Qualcuno addirittura potrebbe contestare il reato ex art 508 c.p.: «Fuori dei casi previsti dall’articolo precedente, chiunque, nell’esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale, compie manovre speculative ovvero occulta, accaparra o incetta materie prime, generi alimentari di largo consumo o prodotti di prima necessità, in modo atto a determinarne la rarefazione o il rincaro sul mercato interno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 516 a euro 25.822. Alla stessa pena soggiace chiunque, in presenza di fenomeni di rarefazione o rincaro sul mercato interno delle merci indicate nella prima parte del presente articolo e nell’esercizio delle medesime attività, ne sottrae all’utilizzazione o al consumo rilevanti quantità».

La risalente giurisprudenza ricorda che per potersi configurare il reato di manovre speculative su merci bisogna che si tratti di rilevanti quantità in modo che si crei un serio pericolo per la situazione economica generale; il giudizio su questo elemento spetta al giudice di merito, ma non è sufficiente a configurare “sottrazione” la detenzione in giacenza in un magazzino della merce o la prassi commerciale di preferire taluni clienti ad altri; e deve comunque trattarsi di comportamenti di portata sufficientemente ampia da costituire un serio pericolo per la situazione economica generale in una zona abbastanza vasta del territorio nazionale (si vedano Cass. pen., 13.11.1980 e Cass. pen., 2.3.1983). Quindi sembrerebbe escluso che preferire un cliente B2b ai consumatori costituisca reato; ma la ricaduta di immagine sarebbe comunque seria, e non è lieve il rischio che qualche Pm dall’avviso facile contesti comunque il reato (e immediatamente dopo lo dia in pasto alla stampa). Se anche si viene assolti, si avranno costi di difesa e, soprattutto, si incorre nel ripetuto ascolto del tredicesimo e ultimo singolo del duo Cochi e Renato, pubblicato il 24 settembre 1978 (chi ne conosce il titolo, capirà al volo; per gli altri, diamo un indizio: il lato B era “Silvano”, cercatelo su Wikipedia).

Quindi è bene adeguarsi all’ordinanza, per evitare strumentalizzazioni.

Risulta quanto mai opportuno procedere (limitatamente alle sole maschere facciali di tipo medico / chirurgico classificate come dispositivo medico, dunque non Ffp2 e Ffp3) a una stampa dell’inventario al 26/04/2020, o alla prima data utile successiva, dal quale si possa evincere il numero di mascherine in giacenza e il relativo costo di acquisto, nonché stampare e/o conservare le relative fatture di acquisto, comprese le bolle doganali per gli acquisti dall’estero o le fatture emesse da venditori dell’Unione europea (che non sono elettroniche).

Al fine di documentare l’avvenuta cessione delle mascherine al prezzo stabilito dall’ordinanza, e la conseguente perdita economica, è altrettanto consigliato:

  • conservare il riepilogo degli scontrini (documenti commerciali) emessi ai clienti, con separata indicazione della mascherina ceduta, con eventuale apposita voce ad hoc, in conseguenza dell’applicazione dell’ordinanza (per esempio, “mascherina ord.11/2020”);
  • riportare, nel registro dei corrispettivi, un’apposita annotazione con l’indicazione dell’importo delle vendite di mascherine a prezzo imposto dall’ordinanza 11/2020 ed il numero dei pezzi venduti.

La conservazione di una copia a stampa dei documenti commerciali rilasciati ai clienti potrebbe invece comportare trattamento di dati personali sanitari dei clienti, specie se i documenti contenessero anche acquisti di altri medicinali o dispositivi. Per evitare violazioni del Gdpr si consiglia quindi di conservare solo evidenza di numero e data di ciascun documento commerciale contenente la vendita di mascherine o comunque copie con codice fiscale oscurato.

La Farmacia delle Grucce

La vicenda, comunque la si pensi, non finisce qui. Dalle repliche televisive del Commissario abbiamo capito dove si va a parare: «La moltitudine attribuiva un tale effetto alla scarsezza e alla debolezza de’ rimedi, e ne sollecitava ad alte grida de’ più generosi e decisivi. E per sua sventura, trovò l’uomo secondo il suo cuore» (è sempre l’ottimo Manzoni a parlare).

Il timore è che si scateni un altro attacco mediatico alla categoria, suscitando la sempre latente invidia sociale (ma forse è più appropriato parlare di odio) e i proclami delle associazioni di consumatori e dei loro avvocati. Siamo seduti sulla proverbiale polveriera che da un momento all’altro può generare un “assalto alla Farmacia delle Grucce”.

Quindi bene ha fatto Federfarma a mantenere calma e lucidità e ad assecondare Arcuri, ottenendo quantomeno il ristoro dalle perdite: apparentemente “porgendo l’altra guancia”, ma certamente con una chiara strategia per il contrattacco che consoceremo nelle prossime settimane.

Nell’attesa di arrivare, prima possibile, a risalire fino all’inizio del capitolo VIII dei Promessi Sposi per chiederci, assieme a Don Abbondio: «Arcuri… chi era costui?».

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30 Aprile 2020 , ,