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Dal farmacista di tradizione al farmacista di relazione

LA PROFESSIONE

Dal farmacista di tradizione al farmacista di relazione

Pare sia sfuggito un passaggio, ci dice Maurizio Traversari di Adakta srl, nell’evoluzione verso la farmacia dei servizi: la centralità delle conoscenze. Se la cornice cambia non si capisce perché le competenze debbano restare le stesse

22 luglio 2020

di Laura Benfenati

Ci conosciamo da molti anni e a Maurizio Traversari il tema della formazione è sempre stato molto caro, ha ideato bei progetti con rappresentanze locali di categoria. Lo spunto per l’intervista nasce da un suo intervento “perplesso” sui social.

Di recente su Facebook hai commentato, a proposito di una ricerca sulla percezione da parte dei cittadini di cosa sia la farmacia: «Niente di nuovo sul fronte Occidentale». Eppure il momento richiederebbe senza dubbio svolte. Come mai questo pessimismo?

Da oltre 10 anni e forse più tutti gli indicatori e le ricerche hanno detto la stessa cosa in almeno tre punti:

  • apprezzamento del ruolo e della farmacia da parte del cittadino;
  • insostituibilità del ruolo della farmacia sul territorio;
  • importanza della relazione con il cliente-utente-paziente.

Questi tre aspetti però non aiutano a capire la cornice “a geometria variabile” nella quale in questi ultimi anni si sono sostanziati. Tutto naturalmente ruota intorno alla perdita progressiva non di centralità o di importanza della farmacia – il Ssn non commetterebbe mai l’errore di una disarticolazione territoriale – ma di sostenibilità, ovvero di fatturato. L’erosione è stata ed è progressiva, il quadro è chiaro, molto chiaro ma non gli orientamenti da prendere, le soluzioni da implementare.

Quali sono?

Si continua a commettere l’errore di parlare della farmacia come fosse un unicum, un unico soggetto granitico uguale a se stesso, mentre è quasi impossibile trovare una farmacia che sia uguale a un’altra: per storia, Regione, posizionamento sul territorio, dimensioni, fatturato e tipologia di asset.
Paradossalmente però il minimo comune denominatore per tutti i farmacisti è la professione, ovvero quella che in prima e sommaria battuta possiamo definire come conoscenza.
Da qui bisogna ripartire.

La farmacia dei servizi, infatti, richiede ampliamento di conoscenza e competenze.

Sì certo ma a me pare che in questi ormai oltre 10 anni di esistenza dei tre decreti sui servizi sia sfuggito un aspetto fondamentale o, meglio, che questo aspetto sia stato vittima di una distonia percettiva, sempre sullo sfondo ma mai messo completamente a fuoco. Le competenze, infatti, l’insieme delle conoscenze, abilità e comportamenti sono il tratto portante di ogni professionalità, di ogni profilo di ruolo. Se la cornice cambia non si comprende perché le competenze debbano sempre restare le stesse, quasi che quello che abbiamo studiato nel percorso universitario sia destinato a durare nei secoli dei secoli.

Per acquisire competenze serve formazione: le modalità di formazione continua non sono più sufficienti?

Sono anni che il tema delle competenze è scomparso dalla scena, persino nei convegni delle grandi aziende o delle multinazionali che sono sempre più prese dalla necessità di engagement, coaching e leadership diffusa. Eppure, anche solo istintivamente, si comprende l’importanza e il valore anche economico delle stesse. Non è un caso che poi si ragioni in termini di capitale umano, inteso come il complesso del valore che le persone possono esprimere all’interno di una piccola o grande organizzazione. Il primo punto quindi riguarda la comprensione della competenza e il secondo, immediato, è quello di capire quali siano le modalità di sviluppo delle competenze. La formazione è soltanto uno degli strumenti del loro sviluppo.

Quali sono a tuo parere le competenze che il farmacista deve sviluppare oggi?

In questi anni abbiamo assistito ad un’alternanza impressionante di società, aziende o consulenti, anche dell’ultima ora, che hanno utilizzato la leva dell’inadeguatezza del farmacista, della sua mancanza di “stare sul tempo”, di un’incapacità di evolversi verso un modello mai definito con precisione: farmacia sociale, farmacia di prossimità, farmacia della persona, farmacia casa della salute. Quale di questi modelli può essere concretamente definito, rappresentato e può essere dinamico perché tiene conto dell’evoluzione continua e stabile su alcuni punti fondamentali?
Ci sono state tante declinazioni in questi anni ma modelli non mi pare di averne visti e i modelli servono a circoscrivere, definire, isolare variabili. E sono interessanti perché possono essere ridefiniti, aggiustati, cambiati o totalmente rifatti, nella consapevolezza che nel rifacimento si è già fatto un ulteriore passo in avanti discriminante.

Quale modello può essere un’ipotesi di lavoro oggi?

A mio parere è necessario circostanziare l’ambito di azione e da questo evincere il profilo di ruolo del farmacista e quindi le competenze, declinate in ragione di uno scenario sufficientemente definito e tale che aiuti a capire dove indirizzare il lavoro da fare. A patto però di non scoprire improvvisamente che la professione del farmacista è legata indissolubilmente alla capacità redazionale, perché questa dimensione è ormai intrinseca nella professione, è un tratto costitutivo del suo Dna… non, però, da oggi.

 

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