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Cosa significa “equivalente” per gli italiani?

L'INIZIATIVA

Cosa significa “equivalente” per gli italiani?

Un progetto editoriale realizzato con il contributo di EG Stada Group analizza il rapporto dei nostri connazionali con i farmaci unbranded, con l’intento di promuoverne il valore attraverso un’informazione autorevole e qualificata

21 aprile 2022

a cura della Redazione

È stato presentato di recente a Roma il progetto editoriale “Equivalenti e biosimilari. Il futuro dei farmaci passa da qui”, a cura del giornalista Claudio Barnini e realizzato con il contributo non condizionato di EG Stada Group. Il volume, nato con l’obiettivo di contribuire a una piena consapevolezza del cittadino-paziente rispetto al valore dei medicinali equivalenti e biosimilari, propone un’analisi dei farmaci a brevetto scaduto: dai bias cognitivi ai pregiudizi culturali da scardinare, fino alle nuove strategie di governance e industriali, con le loro criticità e aree di miglioramento. «In un mondo dove in rete circola di tutto in tema di salute, spesso purtroppo senza alcuna base scientifica, ho pensato che fare chiarezza sui concetti di farmaco equivalente e biosimilare fosse quanto mai utile e importante», ha affermato Barnini. «Questo libro vuole essere una dimostrazione di cosa significhi “centralità del paziente”».

«Con piacere abbiamo deciso di dare il nostro supporto non condizionato al progetto editoriale», ha aggiunto Salvatore Butti, General manager & Managing director di EG Stada Group. «Siamo convinti che rientri nel concetto di responsabilità sociale di un’azienda promuovere iniziative che consentano di fornire una comunicazione autorevole e qualificata, andando a scardinare barriere e luoghi comuni che ancora sussistono al fine di mettere il paziente nelle condizioni di attuare scelte di salute che siano realmente consapevoli».

Una questione semantica e non solo

Un’analisi condotta da Elma Research nell’ambito di un’indagine quali-quantitativa su un campione di pazienti, medici di medicina generale e farmacisti ha evidenziato le ambiguità semantiche del lessico utilizzato per definire i medicinali equivalenti, che oggi si identificano per differenza rispetto a qualcos’altro, dimostrando una debolezza identitaria nei confronti del farmaco originator. Nella considerazione generale, infatti, il vocabolo “equivalente” viene assimilato a un farmaco che ha lo stesso valore di un altro, pur avendo un costo economico più basso. Ciò crea un cortocircuito semantico nella fase di giudizio, legato al fatto che siamo immersi in una cultura in cui il denaro è il metro universale per dare valore alle cose. E anche il termine “generico”, ancora molto diffuso, contribuisce a creare disvalore del farmaco unbranded, in quanto evoca valori negativi di efficacia “generica”, “approssimata” di un prodotto che non agisce in modo ottimale. Tutto ciò a fronte comunque del riconoscimento del valore terapeutico e dell’accessibilità economica di questi farmaci. Per il 73 per cento dei pazienti intervistati, infatti, gli equivalenti sono fondamentali perché permettono a tutti di curarsi. «Aiutare i cittadini a scegliere con consapevolezza per la propria salute: questo dovrebbe essere l’obiettivo condiviso di tutti gli stakeholder del mondo della salute, dagli operatori sanitari sul territorio quali medici e farmacisti, fino alle Istituzioni, passando per associazioni, aziende e comunicatori», ha esortato Roberta Lietti, Director qualitative research di Elma Research. «Solo con messaggi chiari, condivisi e autorevoli è possibile trasferire le conoscenze necessarie perché possa realmente concretizzarsi un processo di empowerment del paziente-cittadino».

I numeri del nostro mercato

Sebbene in Italia negli ultimi anni la quota di mercato degli equivalenti sia progressivamente aumentata, il loro utilizzo stenta a decollare ed è ancora molto distante dall’Europa dove, ha reso noto Michele Uda, direttore generale di Egualia, «il 67 per cento delle prescrizioni di farmaci erogati riguarda i generici, che incidono solo per il 29 per cento della spesa totale farmaceutica, liberando così risorse per l’acquisto di farmaci innovativi. Nonostante ciò, il nostro si conferma il secondo Paese europeo per valore della produzione di farmaci generici e il primo per numero di imprese di settore». L’ultimo rapporto Nomisma (2021) evidenzia un impatto (diretto e indiretto) complessivo generato dalle aziende di equivalenti pari a circa 8 miliardi di euro per quanto concerne il valore della produzione. «Questa performance produttiva – ha aggiunto Uda – purtroppo non si rispecchia nei dati di mercato interni: nel 2020 i farmaci a brevetto scaduto hanno assorbito nel nostro Paese l’85 per cento della farmaceutica convenzionata a volumi (68 per cento a valori), ma il consumo dei generici equivalenti è rimasto di fatto stazionario, assorbendo il 22,46 per cento del totale del mercato a confezioni e il 14,5 per cento di quello a valori». Ne consegue che i cittadini hanno pagato di tasca propria circa un miliardo di differenziale di prezzo per ritirare il brand invece del generico-equivalente e la spesa più elevata è stata registrata nelle Regioni a reddito pro-capite più basso. «Molto dipende anche dalle politiche di governance adottate dai diversi sistemi sanitari», ha concluso Uda, per il quale servirebbero nuove, esplicite e convinte campagne informative a livello nazionale rivolte ai cittadini. 

Altre cause del ridotto consumo di equivalenti

Pregiudizi e resistenze culturali, così come percezioni distorte riguardo a questa categoria di farmaci, alimentano spesso perplessità e convinzioni sbagliate, prive di qualsiasi riscontro scientifico, quali, per esempio, che gli equivalenti possiedono il 20 per cento in meno di principio attivo rispetto al corrispettivo brand.

«Scrolliamoci di dosso definitivamente la convinzione che gli equivalenti siano esclusivamente un’opportunità di risparmio», ha suggerito Carla Mariotti, Senior project manager di Cittadinanzattiva, «e continuiamo a mettere al centro le garanzie di sicurezza, efficacia e qualità che invece offrono, al pari di un farmaco di marca. Per spazzare via ulteriori dubbi e sottolineare l’alto profilo qualitativo degli equivalenti, ricordiamoci anche come questi seguano un processo di produzione identico a quello dei farmaci di marca, dato che le norme di buona fabbricazione (Gmp) e i controlli di qualità sono i medesimi».

Buone notizie per i biosimilari

Diversamente da quanto si registra per i farmaci equivalenti, l’Italia detiene il primo posto in Europa per consumo di biosimilari e il secondo per spesa dopo il Regno Unito, seppur con grandi differenze in termini di penetrazione e di prezzi e con una notevole eterogeneità a seconda del tipo di molecola, a svantaggio di quelle il cui brevetto è di più recente introduzione. Si tratta comunque di un importante strumento in un’ottica di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Per Francesco Saverio Mennini, professore di Economia sanitaria e microeconomia, e direttore Eehta-Ceid , facoltà di Economia, Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, «sicuramente i biosimilari rappresentano l’esempio paradigmatico del disinvestimento. L’impatto che hanno avuto sulla spesa del Ssn tra il 2015 ed il 2020 si è tradotto in una riduzione di spesa cumulata al 2020 pari a circa 769 milioni di euro. Vanno perciò considerati come un’importante opportunità in quanto da una parte generano una riduzione dei costi e dall’altra permettono di esplorare un nuovo segmento del mercato farmaceutico, accompagnata dalla possibilità di curare un numero maggiore di pazienti in trattamento con farmaci biotech a prezzi più accessibili».

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