Cronicità e accesso alle cure: il paziente al centro ma non come “bersaglio” di iniquità e inefficienze
FILIERA
Cronicità e accesso alle cure: il paziente al centro ma non come “bersaglio” di iniquità e inefficienze
Dopo la rinuncia forzata alle prestazioni sanitarie, in un convegno organizzato da Egualia dalle proposte civiche di Cittadinanzattiva e dai dati SWG le ipotesi per rifondare il SSN
24 settembre 2021
di Redazione
«La pandemia ha messo sotto scacco il diritto alla salute. Nella prima fase l’incapacità del SSN di continuare a rispondere alla domanda di cura dei pazienti “non Covid” è stata comprensibile ma già dalla seconda ondata è risultata ingiustificabile».
È la sentenza senza appello contenuta nel rapporto di Cittadinanzattiva su “Cittadini e cura delle cronicità” presentato in occasione del convegno “Diagnosi e terapie: come riaprire le porte dell’accesso al SSN”, organizzato oggi a Roma da Egualia, con la partecipazione tra gli altri di Filippo Anelli (presidente FnomCeo), Raffaele Donini (coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni), Nicola Magrini (direttore generale AIFA), Andrea Mandelli (presidente FOFI), Annamaria Parente (presidente della Commissione Igiene e sanità del Senato).
«Abbiamo voluto creare un momento allargato di confronto, un’occasione di condivisione con gli stakeholder, il mondo istituzionale e gli operatori del mondo sanitario su quanto è avvenuto in questo periodo complesso e sulle ipotesi operative per rimettere in moto il sistema e riaprire le porte del SSN a tutti i suoi legittimi proprietari», ha spiegato Enrique Häusermann, presidente Egualia. «È necessario recuperare la dimensione umana delle cure e per farlo è necessario cogliere appieno l’opportunità del PNRR rimuovendo in primo luogo le gravi disomogeneità regionali esistenti da decenni e ricordando per gli anni a venire tutti i cattivi frutti che la politica dei tagli lineari ha fatto emergere in occasione della pandemia».
Cittadinanzattiva: azzerare le disuguaglianze tra cittadini in termini di esiti di salute
L’analisi di Cittadinanzattiva – illustrata dal segretario generale, Annalisa Mandorino – muove dai dati consolidati della rinuncia “forzata” alle prestazioni sanitarie raccolti da più fonti nell’anno e mezzo dell’emergenza sanitaria che stiamo ancora vivendo: un calo del 20,3% delle prestazioni ambulatoriali e specialistiche (ISTAT); 2 milioni in meno di prestazioni indifferibili (-7% – Istat); 1,3 milioni di ricoveri in meno (- 17% – Corte dei Conti), con un 13% in meno di ricoveri in chirurgia oncologica e un 20% in meno di ricoveri in ambito cardiovascolare e cardiochirurgico. Focus dell’analisi la contrazione d’accesso a diagnosi e cure per quattro principali aree terapeutiche – patologie respiratorie, cardiovascolari, metaboliche e oncologiche – che hanno visto una riduzione del 13% delle nuove diagnosi, delle visite specialistiche del 31%, delle richieste di esami specialistici del 23% e di accesso a nuovi trattamenti del 10% (IQVIA).
«Ora è necessario cambiare passo – ha commentato la Mandorino -. Dobbiamo scongiurare il rischio, a fine 2021, di veder allungarsi le liste di attesa per le prestazioni non covid con un ulteriore restringimento del diritto alle cure per i cittadini. Le risorse a disposizione delle Regioni per recuperare i ritardi devono essere utilizzate al più presto e non dirottate per altri scopi».
Sotto la lente le criticità/ opportunità in pista, a partire dal Dl n. 104/2020 fino alla L. n. 106/ 2021, nella quale sono previsti interventi relativi alla riduzione delle liste di attesa (art. 26) e alle prestazioni di specialistica ambulatoriale per i pazienti ex Covid-19 (art. 27).
«Per questo abbiamo avviato un’azione di monitoraggio civico per capire se e come sono stati utilizzati i 477,75 milioni di euro messi a disposizione delle Regioni per garantire prestazioni sanitarie non erogate o rinviate a causa della pandemia ai pazienti “non Covid”. Inoltre, chiederemo un confronto con il Gruppo di lavoro tecnico che sta per insediarsi per valutare come recuperare le prestazioni negate ai cittadini», ha detto Mandorino.
Focus anche sulla seconda missione 6 del PNRR dedicata al tema della Salute, cui sono destinati circa 20 miliardi di euro: «Sono risorse che mettono l’Italia in condizione di trasformare gli assetti del SSN ma il tempo a disposizione è di soli 5 anni. Da non sottovalutare le forti eterogeneità regionali, i cui diversi modelli di governance sanitaria potrebbero essere d’ostacolo al raggiungimento degli obiettivi. Va rafforzato il ruolo centrale dei medici di medicina generale e l’assistenza territoriale va riformata tenendo conto della geografia del nostro territorio, perché non ci sia un “concentrato di strutture” che rischia di tagliare fuori i piccoli centri abitati, le zone rurali, costringendo i cittadini a lunghi spostamenti. Il sistema va riformato intorno ai cittadini, ai territori e alle comunità e non intorno alle strutture».
In questo quadro si collocano le proposte civiche elaborate da Cittadinanzattiva dopo il confronto con FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), FOCE (Confederazione Oncologi, Cardiologi e Ematologi) e SID (Società Italiana Diabetologia).
- Liste d’attesa: prevedere un piano nazionale di recupero invitando le Regioni a rendere trasparenti le informazioni sui modelli organizzativi e i criteri operativi adottati e la destinazione delle risorse stanziate. Inserire nel nuovo sistema nazionale di garanzia dei LEA uno o più indicatori “di adempimento” per misurare la capacità di recupero di ogni Regione, con particolare riferimento alle prestazioni correlate alle malattie croniche.
- PNRR: gestire le risorse avviando un processo “partecipativo e su più fasi”, che sia rappresentativo della parte istituzionale di livello nazionale e regionale, sociale e professionale. Riconoscere a pieno titolo il contributo dell’Osservatorio Civico sul PNRR.
- Prevenzione: ripensare gli screening, potenziandone la capacità di erogazione dei programmi, sia in termini di infrastrutture (es. sistemi informativi), sia di professionisti sanitari, allocando le risorse in modo efficiente, stabile e commisurate alle necessità.
- Rete ospedaliera: rivedere la logica del DM70/15, individuando soluzioni logistiche basate sulla complessità dello stato di salute dei pazienti, sulla tipologia (acuto, media e bassa intensità) e sul fabbisogno tecnologico e di competenze professionali. Per i grandi ospedali non limitarsi a supportare il solo adeguamento antisismico e la sostenibilità ambientale.
- Prossimità: rilanciare il ruolo del Distretto. Velocizzare la definizione di standard omogenei per l’assistenza territoriale e rendere partecipata alle Associazioni di Cittadini e Pazienti e alle Società Scientifiche la discussione sulla riforma dell’assistenza territoriale. Gli investimenti sugli Ospedali di Comunità siano input per rivedere e riqualificare la rete complessiva delle cure intermedie (RSA e Hospice). Porre attenzione all’evoluzione della figura del MMG.
- Assistenza domiciliare: perseguire una logica di integrazione tra servizi sanitari e servizi sociali, ridisegnando un sistema di Welfare che superi la netta separazione di competenze tra i vari attori del sistema.
- Medicina Generale: rendere omogenei i modelli organizzativi e assistenziali della medicina generale, lasciando ai MMG la possibilità di restare presenti capillarmente sul territorio, dotandoli di apparecchiature tecnologiche e rivedendo anche la disponibilità oraria dei professionisti. Investire al contempo sulla capacità di mettere in rete tutte le attività territoriali esistenti.
- Telemedicina: promuovere una governance nazionale delle iniziative di telemedicina,con scelte mirate guidate da un’unica regia nazionale che definisca, in accordo con le Regioni, obiettivi comuni, requisiti tecnologici unitari, tariffe e rigorosi processi di progettazione e implementazione, prevedendo anche ove necessario, una revisione dell’organizzazione dei servizi sanitari
- Parco tecnologico: superare la logica della mera sostituzione, fissando criteri che rispondano ad una programmazione basata sui fabbisogni dei pazienti, sull’allocazione delle apparecchiature e sul loro inserimento all’interno dei processi assistenziali, tenendo conto pertanto dei contesti organizzativi e dell’evoluzione dei percorsi di diagnosi e cura che tali apparecchiature andranno a sostenere.
Proposte che non potranno concretizzarsi al meglio – ha concluso il segretario generale di Cittadinanzattiva – se il SSN non sarà in grado di puntare oltre che sui pazienti sul personale medico e delle professioni sanitarie: «Il reclutamento inaugurato con la pandemia, non deve restare circoscritto alla fase di emergenza. Bisogna investire sulle persone e sulla formazione dei professionisti sanitari, garantendo loro prospettive di carriera e rafforzando la cultura dell’integrazione, nel rispetto di ruoli e delle competenze, per migliorare i livelli d’eccellenza dell’intero sistema».
SWG: Fiducia inalterata nei medicinali. Conoscenza superficiale e troppe zone “grigie” sui generici.
La seconda indagine presentata al convegno Egualia, condotta nel mese di giugno da SWG, su un campione di 4.534 soggetti maggiorenni residenti in Italia, si è concentrata sul rapporto degli italiani con la salute e l’utilizzo dei medicinali.
«La pandemia in corso ha cambiato il rapporto tra gli italiani e la salute – ha spiegato il direttore di ricerca SWG, Riccardo Grassi – sono cresciute l’attenzione con cui si guarda alla propria salute e la fiducia verso un approccio scientifico della medicina e della cura, mentre si indeboliscono le visioni olistiche della salute come equilibrio tra corpo e mente».
Il 58% degli intervistati si definisce piuttosto attento alla propria salute (+5% rispetto al 2018), mentre diminuisce di 12 punti percentuali il dato di chi considera la salute una questione di equilibrio tra corpo e mente (34% contro il 46% del 2018), così come diminuisce la quota di chi non sopporta di essere ammalato (22% contro il 29% del 2018). La pandemia, dunque, sembra avere dato più consapevolezza del valore della salute, per quanto tra gli intervistati rimangano prevalenti atteggiamenti che imputano la buona o la cattiva salute più a fattori esterni (predisposizione genetica 46%, inquinamento 34%) che ai propri modelli di comportamento (30%).
Il 50% degli intervistati – in particolare over-64 – dichiara di effettuare regolarmente esami diagnostici di controllo, ma risulta in deciso calo – probabilmente per effetto pandemia – il numero di chi fa visite regolari visite dal medico di famiglia (20% contro il 26% del 2018).
In qualche modo Covid-dipendente anche il dato relativo all’autovalutazione della propria forma fisica – la valuta positivamente il 35% del campione, contro il 44% dl 2018 – nonché la lista dei disturbi riferiti come i più comuni: in crescita stanchezza e affaticamento (62%, contro il 52% del 2018), dolori osteo-articolari (47%; 34% nel 2018), insonnia (47%; 39% nel 2018). Fastidi che il 31% degli intervistati ha risolto ricorrendo all’automedicazione, mentre il 29% ha consultato il medico di famiglia.
Nell’epoca delle polemiche sulle fake news amplificate dal mondo digitale, la ricerca evidenzia come sui temi della salute sia fondamentale il ruolo del personale medico e dei farmacisti. Il 62% degli intervistati, infatti considera il proprio medico come la più affidabile fonte di informazioni, il 46% un medico specialista e il 26% il proprio farmacista. Internet rappresenta un riferimento chiave per un intervistato su tre (35%).
In questo contesto, i dati dell’osservatorio SWG mostrano come il periodo pandemico abbia comportato un’ulteriore crescita della fiducia verso il sistema sanitario pubblico (72% contro il 63% di dicembre 2019). Più nello specifico i medici specialisti godono della fiducia del 90% del campione, seguiti dai MMG (81%), farmacisti (79%) e ospedali pubblici (78%). La fiducia verso gli assessorati regionali si ferma al 50%, mentre quella verso il ministero della Salute raggiunge il 60%, così come per le aziende farmaceutiche (60-61%).
«Il farmaco – ha spiegato Grassi – è percepito soprattutto come uno strumento che ci consente di vivere meglio, frutto di studi e tecnologia, ma che va sempre usato con grande attenzione. In questo quadro i rejector dei farmaci rispetto al 2018 sono scesi dal 12% al 9%».
Denso di zone grigie, infine, il rapporto con i farmaci generici: «Tre quarti degli intervistati dichiarano di avere ben presente cosa si intende quando si parla di farmaci generici o equivalenti 75%), il 90% riconosce che il farmaco generico/equivalente costa meno ma solo il 34% degli intervistati è certo che sia identico al farmaco di riferimento. I dati evidenziano complessivamente un livello di informazione non sufficientemente accurato che si traduce in una chiara discriminante all’acquisto».
Una incertezza di fondo che porta il 29% del campione ad acquistare spesso farmaci generici, un 40% ad acquistarli occasionalmente e un 31% a non acquistarli o ad acquistarli solo di rado. Nel processo di scelta il ruolo dei medici e dei farmacisti appare centrale. Sia nell’acquisto di farmaci da banco che per i farmaci prescritti dal medico, solo una percentuale compresa tra un quinto e un quarto del campione, afferma di chiedere sempre di poter avere il farmaco generico. Tuttavia oltre il 40% del campione preferirebbe acquistare un farmaco generico, laddove presente.
Fondamentale da questo punto di vista il ruolo di medici e farmacisti, alle cui indicazioni si affidano due intervistati su tre e che, quindi, possono svolgere un ruolo fondamentale nella promozione dell’utilizzo di farmaci generici. A frenare oggi i potenziali consumatori sono abitudine (26%) e diffidenza (22%), figlie soprattutto di una scarsa informazione.
La tendenza a scegliere un farmaco equivalente o un farmaco di marca cambia anche in funzione del tipo di medicinale che si deve acquistare: il 61% degli intervistati acquisterebbe sicuramente un antidolorifico o un antinfiammatorio “equivalente”; solo il 35% un anticoncezionale, categoria che vede comunque una significativa presenza di farmaci “generici” dotati di nomi di fantasia.