Enpaf low cost?
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Enpaf low cost?
Fatti due conti, ci si arrende all’evidenza che l’Ente previdenziale dei farmacisti è meno costoso di altre casse di professionisti. Resta invece da valutare (ed è senz’altro più complesso) se si tratti di un modello “cheap”, ovvero un servizio di qualità scadente
di Francesco Capri, Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta, Studio Guandalini (Bologna)
L’Italia è il Paese in cui per settimane intellettuali, esponenti politici e di governo, sindacalisti e altra varia umanità, senza vergogna, hanno discettato con toni anche accesi – ora catastrofistici, ora apologetici in funzione delle preconcette opinioni del profeta di turno – delle implicazioni socioeconomiche del “braccialetto a ultrasuoni” per il quale Amazon pare abbia depositato una domanda di brevetto.
Non stupisce allora che queste poche paginette, prima ancora di vedere la luce e al solo “strillo redazionale” della loro futura pubblicazione, abbiano scatenato una vera e propria querelle des anciens et des modernes. Di fronte all’anticipazione di un semplice abstract, infarcito di caveat a non trarre conclusioni affrettate, non si è fatto altro che trarre, appunto, conclusioni semplicistiche, affrettandosi ad arruolarci (non è la prima volta né certo sarà l’ultima) nella schiera dei sostenitori dell’una o dell’altra parte di una contesa che ha al centro la contribuzione Enpaf.
Come altri ben più illustri Autori prima di noi, «avevam proposto di dar qui minutamente ragione del modo di scrivere da noi tenuto; e, a questo fine, siamo andati, per tutto il tempo del lavoro, cercando d’indovinare le critiche possibili e contingenti, con intenzione di ribatterle tutte anticipatamente. Né in questo sarebbe stata la difficoltà; giacché (dobbiam dirlo a onor del vero) non ci si presentò alla mente una critica, che non le venisse insieme una risposta trionfante, di quelle risposte che, non dico risolvon le questioni, ma le mutano. Spesso anche, mettendo due critiche alle mani tra loro, le facevam battere l’una dall’altra; o, esaminandole ben a fondo, riscontrandole attentamente, riuscivamo a scoprire e a mostrare che, così opposte in apparenza, eran però d’uno stesso genere, nascevan tutt’e due dal non badare ai fatti e ai principi su cui il giudizio doveva esser fondato; e, messele, con loro gran sorpresa, insieme, le mandavamo insieme a spasso». Inevitabilmente, però, l’esposizione preventiva delle confutazioni avrebbe portato, come nell’illustre esempio manzoniano, a rendere lo scritto troppo lungo (e forse ancor più noioso di quanto già non sia).
Donde l’esigenza di questo breve preambolo per chiarire che in queste pagine vengono esposti i risultati della nostra analisi che ha a oggetto – molto modestamente – il calcolo dell’incidenza della contribuzione previdenziale Enpaf sul reddito del titolare di farmacia, e il suo raffronto con l’incidenza, per altri professionisti, dei contributi versati alle rispettive casse professionali. Le conclusioni da trarre e le implicazioni di politica socioeconomica le lasciamo a coloro che, a buon diritto, ne sono meritatamente responsabili; noi, da parte nostra, numeros nudos tenemus.
PARTIAMO DALLE BASI
L’Enpaf è tra i pochissimi enti previdenziali in cui la contribuzione non è direttamente collegata al reddito, ma è fissa per la generalità degli iscritti, e sulle sole farmacie è ragguagliata non al reddito, ma a componenti del fatturato. Non è allora agevole calcolare quanto sia il peso percentuale della contribuzione sul reddito del farmacista.
Per farci un’idea abbiamo fatto ricorso a una simulazione, partendo dai dati di un campione di farmacie segmentato in cinque cluster:
• Farmacie urbane di grandi dimensioni;
• Farmacie ubicate in centri commerciali;
• Farmacie urbane di medie dimensioni;
• Farmacie rurali;
• Farmacie urbane di periferia.
Ciascuna tipologia di farmacia presenta differenti caratteristiche e, come sa bene chiunque abbia le nozioni base della statistica, nei campioni ristretti è facile che risultino sovrarappresentati i cosiddetti outliers, ossia gli estremi, che per definizione influenzano la media. Pertanto è possibile, anzi probabile, che sulla base di un diverso campione di farmacie si ottengano risultati in parte differenti; come pure che conducendo l’analisi su tutte le 18mila e rotti farmacie si possa giungere a conclusioni ancora differenti.
I conti economici ricostruibili sulla base del nostro campione sono riassunti nella tabella 1, che mostra i dati di bilancio di una “farmacia-tipo” per ciascun cluster.
Chiunque abbia un occhio esperto potrà apprezzare la genuinità del campione per l’eterogeneità – talvolta controintuitiva – dei risultati che ne abbiamo ottenuti: saltano agli occhi, per esempio, l’elevata marginalità delle farmacie di periferia (probabilmente nel campione ci sono farmacisti di notevole capacità imprenditoriale, certamente non tutte le piccole farmacie ottengono risultati così lusinghieri) e l’incidenza molto variabile del costo del personale, che può dipendere dalla marginalità, dall’efficienza del personale, ma anche semplicemente dalla presenza di titolare, soci o familiari che lavorano con formule diverse dal lavoro dipendente.
Nell’analisi del bilancio di una farmacia singola abitualmente – se si vuole disporre di informazioni attendibili – si “normalizza” il costo del fattore lavoro computando il costo figurativo dell’apporto della famiglia o dei soci. Nel nostro campione, estratto anonimamente, non è stato possibile introdurre tali correttivi e quindi ci basiamo, ancora una volta, sui dati di bilancio senza manipolazioni.
Per chi (per esempio gli affetti da insonnia) desiderasse analizzare e commentare il nostro campione, o raffrontare i dati di cui dispone con un parametro esterno, la tabella 2 indica i benchmark da noi abitualmente utilizzati per tipologia di farmacia e classi di fatturato.
L’INCIDENZA ENPAF SUL REDDITO DELLA FARMACIA
Partendo dai dati esposti nella tabella 1, abbiamo calcolato, per ciascun cluster, l’incidenza della contribuzione Enpaf sul reddito della farmacia, in tutte le sue componenti: quota fissa a ruolo, trattenuta Ssn 0,90% e contributo aggiuntivo 0,50% sull’intero fatturato previsto dalla Legge di bilancio 2018 per le società in cui i farmacisti sono in minoranza (ricordiamo che la “minoranza di farmacisti” si calcola per quote nelle società di capitali e per teste nelle società di persone). La tabella 3 mostra i risultati di questo calcolo.
Come base è assunto l’utile al lordo del contributo, ottenuto sommando all’utile di bilancio il costo dello 0,90% già contabilizzato nel conto economico. In tutte le simulazioni abbiamo conteggiato tra i costi aziendali l’Irap, che pur essendo indeducibile a fini Irpef e a fini contributivi, è un costo aziendale che non dipende dal reddito del titolare o dei soci, ma solo dal valore aggiunto della farmacia. Per chiarezza va precisato che i dati contenuti nell’abstract reso noto qualche settimana fa (www.facebook.com/Rivista.iFarma) il calcolo era fatto sull’utile di bilancio, già al netto della contribuzione. Per questa ragione si trovano piccole differenze (che non mutano la sostanza) tra le cifre contenute in queste pagine e quelle che sono circolate in precedenza.
Il contributo 0,90%
Viene anzitutto calcolato quanto pesa il contributo dello 0,90% sull’utile della farmacia.
L’incidenza dello 0,90% risulta – come è intuitivo – differenziato per ciascun cluster di farmacie, giacché il peso della trattenuta Ssn sul reddito dipende da numerose variabili: rapporto tra fatturato mutualistico e cassetto, marginalità e incidenza dei costi di gestione sul margine. Tanto più la farmacia sviluppa il fatturato commerciale e tanto maggiore è l’utile lordo a parità di rapporto Ssn/cassetto, tanto minore risulterà la parte del reddito assorbita dalla contribuzione.
Il contributo fisso
La “seconda gamba” del costo dell’Enpaf è il contributo fisso, che è sempre pagato nella misura intera perché a norma dell’art. 21 del regolamento previdenziale Enpaf non hanno diritto alla riduzione del contributo i titolari di farmacia, i soci di società che gestiscono farmacie, i collaboratori di impresa familiare e in genere tutti gli associati agli utili della farmacia.
Questa spesa non emerge dal bilancio della farmacia, perché viene pagata dal singolo farmacista indipendentemente dal reddito che deriva dalla farmacia e dalla sua quota di partecipazione.
Nella tabella abbiamo calcolato l’incidenza delle quote fisse tanto nell’ipotesi che vi sia un titolare individuale, oppure la presenza di due soci (o di un titolare e un familiare farmacista).
Il contributo aggiuntivo
Infine abbiamo calcolato e indicato quale sarebbe l’incidenza del contributo aggiuntivo 0,50% previsto dalla legge di bilancio per il caso in cui i soci farmacisti siano in minoranza.
Quando tutti i soci o familiari sono farmacisti, infatti, l’unica contribuzione dovuta è quella Enpaf , per cui è ininfluente la forma giuridica assunta dalla farmacia (impresa familiare o società).
Soci e familiari non farmacisti: i contributi Inps
La presenza di soci o familiari non farmacisti complica un po’ l’esempio, perché bisogna tenere conto anche della contribuzione Inps commercianti dovuta dai soci non farmacisti.
La tabella 4 illustra il costo della contribuzione Inps, sulla base del reddito della singola farmacia e delle quote di partecipazione, in presenza di soci persone fisiche non farmacisti che, se prestano lavoro in farmacia o comunque sono soci accomandatari o soci di snc, sono tenuti in ogni caso all’iscrizione all’Inps commercianti (a meno che non risultino iscritti ad altra forma previdenziale, cosa molto difficile finché le incompatibilità con altri rapporti di lavoro verranno applicate secondo la reazionaria interpretazione della sezione consultiva del Consiglio di stato).
Per semplicità di calcolo abbiamo elaborato i conteggi immaginando la presenza di un solo socio non farmacista, ipotizzando diverse carature societarie del 10%, 50% e 100%: la presenza di più soci, a parità di reddito totale, modificherebbe il calcolo perché la contribuzione Inps ha dei minimi comunque dovuti e aliquote differenziate per scaglioni.
Nella tabella 5 indichiamo gli scaglioni: chi ne avesse voglia potrà elaborare simulazioni basate sulla presenza di più persone.
Incidenza complessiva per cluster
Nelle ultime due righe della tabella 3 viene infine esposto il calcolo sintetico dell’incidenza complessiva della contribuzione Enpaf su ciascuna tipologia di farmacia: la prima riga è elaborata sull’ipotesi della presenza di due farmacisti (e quindi di una doppia quota fissa), mentre la seconda sulla presenza di un solo farmacista in minoranza, e pertanto viene conteggiato un solo contributo fisso, ma viene computato lo 0,50% aggiuntivo previsto dalla legge di bilancio 2018.
Nella prima riga, in cui si ipotizza la presenza di soli farmacisti, la contribuzione ha una incidenza sul reddito lordo che varia da poco meno del 7% per il cluster di farmacie urbane di grandi dimensioni, a oltre il 14% per il cluster delle farmacie rurali. Tale differenziazione non dipende tuttavia da un trattamento sfavorevole previsto per i rurali, bensì dal fatto che, da un lato, nel nostro campione alcuni cluster di farmacie (tra cui, ma non solo, le rurali) presentavano una marginalità più bassa delle altre e che, dall’altro, il rapporto Ssn/cassetto è diverso tra i vari cluster: elementi che rendono algebricamente più gravosa la contribuzione 0,90%. D’altra parte, al crescere del reddito diminuisce l’incidenza del contributo fisso: se nella frazione contributo/reddito il numeratore è costante, ovviamente al crescere del denominatore il valore del rapporto diminuisce.
LE ALTRE CASSE PREVIDENZIALI
Un’analisi del costo della contribuzione non sarebbe completa senza una comparazione con l’onere gravante sui redditi di altri professionisti.
Abbiamo pertanto calcolato quale sarebbe stata la contribuzione, a parità di reddito, se il calcolo fosse fatto con le aliquote di altre casse di previdenza.
Abbiamo formulato cinque combinazioni base di reddito/contribuzione Enpaf (una per ciascun cluster, vedi tabella 6) su cui basare il confronto con le altre casse.
Nelle prime quattro tipologie abbiamo immaginato si trattasse di società con due soci farmacisti (o impresa familiare tra due farmacisti), mentre nella farmacia urbana di periferia, di piccole dimensioni, abbiamo ipotizzato una ditta individuale (quindi col pagamento di una sola quota fissa Enpaf, ma senza contribuzione aggiuntiva 0,50%). Ecco perché rispetto alla tabella 3 nell’ultima colonna il costo Enpaf scende dal 13,16% (che comprendeva 2 quote fisse) all’8,01%.
Le ipotesi di partenza
Per simulare l’applicazione di altri regimi previdenziali, abbiamo fatto riferimento alle casse di altri camici bianchi (medici e odontoiatri, veterinari, infermieri, biologi) e alle casse di alcune altre professioni con un numero rilevante di iscritti (avvocati, dottori commercialisti, ingegneri e architetti).
Ricordiamo che per tutte le casse di previdenza, eccettuato l’Enpam, è previsto che oltre al contributo soggettivo dovuto dall’iscritto (e calcolato in proporzione al reddito) sia applicato sul fatturato un contributo integrativo (dal 2% al 5% a seconda dell’Ente) che resta a carico dei clienti/committenti, oltre al contributo di maternità. Abbiamo quindi calcolato l’onere complessivo e quello strettamente posto a carico del professionista.
Il contributo soggettivo generalmente ha un’aliquota minima obbligatoria (la più bassa è quella dei dottori commercialisti, 12%; la più alta è quella degli infermieri, 16%), ma il professionista può scegliere di versare un contributo superiore; nei nostri conteggi abbiamo impiegato l’aliquota minima.
Poiché le variabili imponibili per i professionisti sono due (reddito e fatturato), abbiamo dovuto formulare un’ipotesi di fatturato sulla base del reddito. Il rapporto reddito/fatturato nella professione è infatti completamente diverso rispetto alla farmacia, quindi non avremmo potuto basare il calcolo sul fatturato delle farmacie di ciascun cluster.
Abbiamo allora ipotizzato per i professionisti una incidenza dei costi del 30% rispetto al fatturato (ossia che fatto 100 il fatturato, il reddito del professionista sia 70). L’ipotesi, che riteniamo realistica, non ha comunque un’incidenza deformante, perché il fatturato incide solo sulla contribuzione a carico del cliente, non su quella a carico del professionista.
Le aliquote del contributo soggettivo (quello pagato sul reddito) e del contributo integrativo (quello applicato sul volume d’affari a carico del cliente), come pure il contributo di maternità ove previsto, sono stati ricavati dal sito web dei diversi enti previdenziali, impiegando il dato più recente disponibile (generalmente la contribuzione per l’anno 2017 appena concluso).
Tutte le casse prevedono un massimale contributivo (ossia un tetto reddituale, oltre il quale o non si paga nulla, oppure si paga un contributo di solidarietà ridotto). Pertanto al crescere del reddito oltre il massimale diminuisce l’incidenza percentuale del costo.
Esistono anche i minimi contributivi (importi dovuti anche in assenza di reddito o con redditi bassi), ma non ne abbiamo tenuto conto perché i dati del nostro modello in tutti i casi superavano tali minimi per tutte le casse previdenziali esaminate.
Per non tediare ulteriormente i lettori, che hanno avuto la bontà e la pazienza di leggere fin qui questa mole di dati tecnici, non presentiamo analiticamente i conteggi per le singole casse; chiunque potrà verificarli scaricando dai rispettivi siti web le tabelline delle aliquote contributive. Precisiamo solo che, per il caso degli infermieri, abbiamo dovuto fare ricorso a un ulteriore assunto ipotetico: il contributo soggettivo (quello a carico del committente) previsto dall’Enpapi è infatti del 4% per i clienti privati, e del 2% se il cliente è un ente pubblico. In assenza di elementi per fondare ipotesi diverse, abbiamo supposto che il fatturato dell’infermiere fosse diviso al 50% tra pubblico e privato (e quindi che il contributo soggettivo in media incidesse del 3%). Ancora una volta, l’ipotesi non ha particolari effetti distorsivi, perché non incide sulla quota contributiva a carico del professionista.
I risultati sono riepilogati nella tabella 7.
Per ciascuna cassa, la seconda riga computa il costo complessivo, quindi includendo il contributo soggettivo a carico dei committenti: non si tratta di un costo gravante direttamente sull’iscritto, ma rileva perché aumenta il costo per il cliente e, quindi, indirettamente incide sull’onorario che il professionista può chiedere (molti enti pubblici, per esempio, prevedono nelle gare il costo comprensivo del contributo). Ma a livello microeconomico la “tasca” del professionista è incisa direttamente solo dalla componente soggettiva, per cui quest’ultima è la più corretta “pietra di paragone” del costo previdenziale.
Il confronto
Il nostro scopo è prima di tutto illustrare un metodo di lavoro e invitare tutti a ragionare nel modo corretto, ossia prima analizzare i dati, e poi trarre le conclusioni. L’impressione invece è che spesso – more italico – si parta dalle conclusioni già decise per poi entusiasmarsi o irritarsi per i risultati dell’analisi sulla base delle convinzioni preesistenti.
E quali conclusioni è possibile trarre da questa analisi? Sapendo che nella tabella 7 sono indicati in blu i valori per i quali l’Enpaf risulta meno oneroso e in rosso quelli in cui il farmacista paga di più, salta all’occhio che le caselle con i numeri rossi sono molto meno di quelle in blu: su 35 casi analizzati, solo 6 vedono l’Enpaf costare di più, e di questi solo in due casi
il differenziale supera l’1% del reddito.
Quindi – sulla base del campione da noi esaminato – parrebbe che il costo della contribuzione per il farmacista titolare non sia superiore a quella che grava sui redditi di altri professionisti.
Saremmo ben felici che qualche centro studi che disponga di una base dati complessiva, o comunque meglio rappresentativa dell’intero sistema farmacia, replicasse il nostro modello per verificare se le nostre conclusioni risultino fragili o invece solide (“robuste”, secondo l’orribile terminologia che i complessi di inferiorità esterofili di molta della nostra letteratura scientifica hanno importato convertendo sul piano fonetico, non semantico, l’inglese robust).