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Tumore al seno: la terapia sottocutanea fa sentire le donne “meno malate”

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Tumore al seno: la terapia sottocutanea fa sentire le donne “meno malate”

Indagine ONDA: le donne che possono seguire la terapia sottocutanea per il trattamento del tumore al seno si sentono meno malate rispetto a coloro che devono seguire alla terapia endovenosa

11 luglio 2018

di Redazione

Le donne che seguono la terapia sottocutanea per la cura del tumore al seno sono costrette a meno rinunce rispetto a quante devono assumere il farmaco per via endovenosa. Ciò anche perché la somministrazione della terapia sottocutanea dura dodici minuti, contro le oltre due ore previste per quella endovenosa. A dirlo è un’indagine dell’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere (Onda) con il supporto di Roche, che ha raccolto le testimonianze delle donne che seguono il percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale per la cura del tumore al seno HER2+, pazienti che possono beneficiare della somministrazione dei medicinali per via sottocutanea.

Secondo l’indagine solo una donna su dieci che si reca in ospedale per la somministrazione della terapia endovenosa lo fa in autonomia, mentre chi si sottopone a terapia sottocutanea, nel 39% dei casi è indipendente. In più chi è in terapia endovenosa resta in ospedale in media di 5 ore, con punte di 6-10 ore, mentre il tempo di permanenza per chi si sottopone alla terapia sottocutanea è invece in media di 2-3 ore.

Questo basta – si fa per dire – a far percepire molto diversamente i due tipi di percorsi sanitari alle pazienti: la terapia sottocutanea viene considerata meno invasiva, più favorevole per una buona qualità di vita, utile per risparmiare tempo, comoda per l’ospedale e il personale sanitario e il 92% delle intervistate ritiene di sentirsi “meno malata”. Infatti, le donne sottoposte a questa terapia ritengono di aver effettuato meno rinunce rispetto a chi ha fatto la terapia endovenosa.

“Oltre alla percezione positiva da parte delle pazienti”, dice Daniele Generali, Direttore UO Multidisciplinare di Patologia Mammaria e Ricerca Traslazionale, ASST Cremona, “le nuove formulazioni portano benefici sia sul piano economico-organizzativo sia su quello relativo alla sicurezza clinica del trattamento nel percorso diagnostico-terapeutico”.

Conferme che arrivano dal progetto SCuBA (SubCutaneous Benefit Analysis), realizzato da Bip, Business Integration Partners con il sostegno di Roche, che ha analizzato i benefici e i costi differenziali relativi alle diverse formulazioni, sottocutanea e endovena, dei farmaci trastuzumab e rituximab rispettivamente indicati per il carcinoma mammario HER2+ adiuvante e metastatico e il linfoma diffuso a grandi cellule B e il linfoma follicolare.

Il progetto SCuBA evidenzia inoltre che il Sistema Sanitario Nazionale risparmia circa nove milioni di euro con l’utilizzo di trastuzumab sottocutaneo. Cifra che potrebbe raggiungere i 14,7 milioni se la quota di somministrazione arrivasse alla massima eleggibilità.

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