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Non basta essere “distributori” e società di farmacisti

L'INTERVISTA

Non basta essere “distributori” e società di farmacisti

«Dichiararsi cooperativa o distributore dei farmacisti non è più elemento di per sé differenziante», ci dice il direttore generale di Unico - La farmacia dei farmacisti, Stefano Novaresi, in copertina sul prossimo iFarma. Un estratto dell’intervista

24 settembre 2020

di Laura Benfenati

Le nuove richieste del farmacista nascono da esigenze diverse del cliente-paziente della farmacia: le società di distribuzione diventano partner indispensabili per affiancare i titolari nel loro percorso di evoluzione ed essere solo “distributori”, nel senso tradizionale del termine, non è più sufficiente»: apre così la nostra chiacchierata su Teams Stefano Novaresi, il direttore generale di Unico, un manager di grande esperienza anche internazionale. Dall’aprile del 2019 ha iniziato un percorso di evoluzione nell’azienda di farmacisti leader nella distribuzione intermedia con un articolato processo di change management basato su una nuova mission e su uno stile di leadership fondato sulle “6 C”: chiarezza, condivisione, concretezza, collaborazione, competenza, competizione. «Non sottovaluterei quel gigantesco esperimento sociologico dal quale non siamo ancora usciti che è la pandemia», ci dice. «Abbiamo imparato in fretta nuove modalità operative e in Unico abbiamo avviato una gestione sicuramente più “partecipativa”. Per far crescere un’azienda servono profitti e solidità finanziaria, non basta dire che si è cooperativa, elemento che certamente riveste grande importanza, ma è parimenti indispensabile mantenere e rafforzare una reputazione nel sistema finanziario e nell’ecosistema dei vari stakeholders con cui si opera, e per questo obiettivo è determinante organizzare un team manageriale professionale e che ispiri fiducia».

Come è cambiata Unico in questo periodo?

Tutto quello che abbiamo fatto non poteva essere realizzato senza partire da una profonda riorganizzazione dell’azienda. Le società sono fatte di persone e noi innanzitutto abbiamo completamente rinnovato il team manageriale. Quindi è stata fatta una grande riorganizzazione interna, cambiando l’approccio e lo stile di gestione, che da direttivo e non partecipativo è diventato caratterizzato dal coinvolgimento e dalla diffusione delle informazioni all’interno di una strategia chiara, formalizzata e condivisa. Completa il quadro la chiarezza organizzativa, con ruoli e responsabilità definite e con l’obiettivo del miglioramento continuo, anche grazie al confronto con l’esterno.
Tutto questo è stato ottenuto attraverso molte iniziative di formazione e di comunicazione che anche nel lockdown non si sono fermate. Durante la pandemia ho periodicamente organizzato occasioni di comunicazione con tutti i dipendenti a partire da un quarto d’ora di confronto all’interno dell’iniziativa “Il caffè” e, in sinergia con la direzione Risorse umane, ho avviato una serie di veloci survey interne per capire lo stato d’animo delle persone e per conoscere il loro giudizio sullo smart working e l’home working. Questo approccio iniziale si è poi sviluppato in iniziative più strutturate di formazione.

In che modo ha condiviso con tutti la nuova mission aziendale?

Siamo un’azienda di 1.200 persone, 700 interni e oltre 500 esterni, e per coinvolgerli in un processo di cambiamento bisogna avere ben chiare le fasi che caratterizzano il change management: è stato necessario preparare le persone attraverso una formazione interna su temi come le emozioni, l’intelligenza aziendale e le dinamiche organizzative. Questo poi ha portato alla condivisione della mission aziendale e a una survey per avere i riscontri di tutte le persone che lavorano qui. Oggi la mission di Unico si articola in punti che sono già un indirizzo programmatico per tutte le funzioni: sviluppo delle risorse umane, incorporare l’eccellenza dovunque essa sia, raggiungere posizione di leadership nel rapporto qualità-costi, eccellere nella produzione del servizio, eccellere nel marketing, sviluppare l’orientamento market-in e lavorare sui tempi. Tutto questo fa parte del processo di sviluppo e formazione interno con corsi sia a livello dirigenziale che di management in generale. Stiamo cambiando faccia e sostanza: in azienda ciascuno deve capire bene il suo ruolo, come lo deve svolgere, con quali finalità specifiche e tutti devono essere consapevoli degli obiettivi generali dell’azienda, essendo informati sulle dinamiche di mercato.

Come può un distributore intermedio supportare i farmacisti nell’ineluttabile evoluzione del canale post pandemia?

Il distributore sconta nel suo stesso nome un vizio di definizione. Healthcare provider, healthcare management, pharmacy partner sono concetti che vanno oltre il generico wholesale: la distribuzione è sicuramente core business, inteso come elemento di base, ma non può tenere in piedi un comparto con una farmacia che sta affrontando un mercato che cambia così rapidamente. Il distributore intermedio, la cui definizione diventa quindi sempre più inappropriata quanto riduttiva, può fornire servizi e supporti di natura tecnica, tecnologica, professionale e di comunicazione. Unico da tempo, grazie a una specifica divisione all’interno, ha sviluppato tutta una serie di servizi per offrire dispositivi di natura elettromedicale e diagnostica, attività di screening, giornate ad hoc in farmacia nonché supporti per l’organizzazione del personale.

Un’ultima domanda: da una recente indagine Doxapharma emerge che i farmacisti sono meno legati alle loro società di distribuzione, è d’accordo?

Non mi sorprende affatto, prenderne atto è già il primo passo per rendersi conto del fatto che qualcosa nella relazione con i propri soci e clienti deve cambiare. Dichiararsi azienda di farmacisti non è più elemento di per sé differenziante, sta cambiando tutto, credo sia opportuno vedere quello che altre realtà cooperative vincenti hanno fatto all’estero, in mercati non così diversi dal nostro, come per esempio quello spagnolo. Lì il leader di mercato è una cooperativa, Cofares, che da tempo ha capito che un conto è l’assetto societario, un conto la gestione professionale e manageriale di una grande impresa. L’azione che stiamo conducendo in Unico va esattamente in questa direzione: la riorganizzazione aziendale è volta a potenziare la managerialità del team nel suo complesso. Soprattutto è necessario avere una strategia precisa, in modo che agli slogan seguano azioni concrete.

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