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Un bollino di qualità per il consiglio on line

IL DIGITALE

Un bollino di qualità per il consiglio on line

(c) Freepik

Quanto la promozione sui social dei consigli e dei prodotti collegati alla salute dipende dalla seduzione del numero di follower? Secondo una recente survey gli italiani non si fidano abbastanza degli influencer. Tanto da chiedere (giustamente) una regolamentazione del settore

18 gennaio 2024

di Carlo Buonamico 

“Mi è capitato più volte di acquistare prodotti (di salute, nda) che venissero pubblicizzati dagli influencer, ma la scelta è sempre stata filtrata dalle informazioni che ho ricevuto dal mio farmacista”. È una delle dichiarazioni raccolte dalla survey realizzata da Toluna per indagare il fenomeno del racconto della salute proposto dagli influencer all’interno dei social network e al loro riflesso sul marketing dei prodotti per salute e benessere.
Ebbene, nonostante ben due italiani su tre seguano “influencer della salute” e uno su tre abbia acquistato prodotti da essi consigliati, otto su dieci ritengono necessaria una regolamentazione dell’informazione sulla salute attraverso i social network. Tanto che l’acquisto dei prodotti promossi dagli influencer avviene spesso dopo una verifica con i professionisti della salute, come medici e farmacisti, ritenuti più competenti sull’argomento (67 per cento vs 38 per cento), attendibili nelle indicazioni fornite (70 per cento vs 31 per cento) e soprattutto meritevoli di fiducia quando si parla di tematiche delicate come la salute (70 per cento vs 40 per cento). 

Mi fido ma non troppo 

Gli influencer della salute parlano soprattutto di salute fisica (38 per cento), mentale (28 per cento) e alimentare (40 per cento), e sono soprattutto gli integratori i prodotti che maggiormente vengono acquistati dai follower a seguito della promozione social. Seguiti da referenze per cura della persona, igiene personale, esercizio fisico, gestione di sonno, ansia e stress.
Insomma, che si parli di salute sui social piace; gli influencer, dipende. Da cosa? Dalla loro credibilità e preparazione. Perché oggi il consumatore non è più naïve come qualche anno fa. Che sia stata la lezione ricevuta dall’infodemia targata Covid o altro, gli utenti sono sempre più attenti a non “bere” passivamente quanto propinato sul web. Specie se di mezzo c’è la salute. E quindi anche se circa la metà degli intervistati apprezza che qualche “consiglio” di prodotti per salute e benessere venga dato sui social, un certo margine di dubbio sul fatto che la bontà dei prodotti sia subordinata al ritorno economico dell’influencer resta.  

“Certificare” la qualità del consiglio 

“Ho paura che a volte la prospettiva di guadagno possa andare a discapito del reale obiettivo, ovvero migliorare la salute dei propri follower”, dichiara uno degli intervistati. Il cui senso critico si spinge anche oltre, chiedendo che ci sia una vera e propria regolamentazione, finanche una certificazione della competenza di chi parla di salute sui social. Una sorta di bollino: “Penso che ci dovrebbe essere una sorta di controllo (anche una spunta blu sull’account) per certificare che le informazioni che vengono trasmesse non rappresentino un rischio”, esplicita meglio un responder 

Riportare la competenza in primo piano 

Un bisogno di controllo ben espresso dai consumatori: solo il 51 per cento si fida degli influencer, a fronte del 79 per cento che ritiene necessaria una regolamentazione o della necessità di certificazioni professionali per poter parlare di salute sui social. Una richiesta che è quasi un Sos, che ci sentiamo di rilanciare al legislatore e alle autorità garanti della salute e della tutela del consumatore: che a parlare di salute on line, non solo ma manche quando si citano prodotti, siano coloro che hanno davvero contezza di temi così delicati, che possono avere riflessi importanti sulla vita delle persone. Fatto salvo il diritto di tutti di libera espressione sancito dalla Costituzione, l’idea del bollino non sarebbe poi così malvagia: potrebbe forse a togliere ossigeno alle fila di social-imbonitori “Wanna Marchi style”, che non solo rappresentano un pericolo per la salute, ma minano anche la credibilità di giornalisti e comunicatori di scienza.  

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