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A Roma un presidente di tutti

L'INTERVISTA

A Roma un presidente di tutti

«Dopo le improvvise dimissioni di Vittorio Contarina, vorrei evitare in tutti i modi uno scontro interno che sarebbe lacerante e non gioverebbe a nessuno, tantomeno alla causa comune. C’è un preoccupante allontanamento dai temi sindacali e dai vertici di categoria da parte dei farmacisti», ci dice Antonino Annetta, farmacista romano già vicepresidente di Assiprofar

1° ottobre 2020

di Laura Benfenati

Le dimissioni improvvise di colui che aveva “rottamato” la vecchia Federfarma Roma cinque anni fa hanno lasciato senza parole molti farmacisti, romani e non solo. L’uomo nuovo, “l’esperto” di comunicazione Vittorio Contarina ha fatto un passo indietro prima a livello nazionale, dove era vicepresidente di Federfarma, e poi a livello locale, dove in tutta fretta sono state convocate le elezioni. Ne parliamo con una delle memorie storiche di Assiprofar, Antonino Annetta, a lungo vicepresidente del sindacato romano durante la gestione dello storico presidente Franco Caprino. Ci conosciamo da molti anni: ci fu un momento, poteva essere il 2006/2007, in cui chiesi a una persona che stimavo molto, l’allora direttore generale di Federfarma Giuseppe Impellizzeri, di indicarmi i nomi di quattro quaranta -cinquantenni che avrebbero potuto dare un contributo sostanziale per il futuro di Federfarma. Nino, al quale competenza e dedizione alla causa sindacale non sono mai mancate, era uno di quei quattro.

Cosa è successo, innanzitutto, in Assiprofar?

Il sindacato romano per tanti anni è stato un riferimento importante sia per le altre associazioni provinciali sia per gli associati. Cito fra i tanti esempi gli accordi Dpc e Webcare ottenuti durante i nostri mandati che riportavano non solo  condizioni economiche per le farmacie che tutte le altre associazioni provinciali in Italia ci invidiavano, ma anche vere e proprie innovazioni quali, per esempio  la retribuzione per la farmacia del pt-on line, la dispensazione dei vaccini antinfluenzali in ambito Ssn, il rientro in farmacia degli ex-osp2 e la pharmaceutical care retribuita quando ancora la legge sui servizi era agli albori, ecc… Oppure l’accordo Webcare il cui margine dei presidi per diabetici è ancora oggi il più alto in tutta Italia. Come sindacato romano durante il nostro ultimo mandato abbiamo commesso il grave errore, e non ho remore a riconoscerlo, non solo di sottovalutare il contributo di una parte consistente del Consiglio di allora ma anche quello di non capire che la maggior parte degli associati voleva un radicale cambiamento, se non di persone, almeno di coinvolgimento e di comunicazione. Con il presidente Caprino in tutti gli anni in cui abbiamo rappresentato l’associazione romana abbiamo profuso un impegno enorme, sacrificando tanto tempo al lavoro e alle famiglie ma, evidentemente, soprattutto nell’ultimo periodo, non siamo stati capaci di valorizzarlo coinvolgendo nella maniera più adeguata i componenti del Consiglio e i colleghi.

Tu facevi appunto parte del consiglio precedente di Assiprofar ma ti conosco bene per sapere che la tua risposta a questa domanda sarà obiettiva e non influenzata da logiche di schieramento. Qual è il bilancio sulla “nuova” gestione ormai più che quinquennale, quali gli aspetti positivi e quelli negativi?

Devo riferirti sinceramente e senza alcuna polemica che gli aspetti positivi di questa attuale dirigenza da un punto di vista professionale e sindacale fatico a trovarli. È vero che i pagamenti sono regolari da qualche anno ma questo accade con tutti gli enti convenzionati con la Regione Lazio; è vero che sono stati rinnovati (e non poteva essere diversamente in quanto erano scaduti) gli accordi Dpc e Webcare ma sul medesimo schema (basti pensare che in Dpc abbiamo ancora la remunerazione per fasce) di quelli elaborati nei nostri Consigli direttivi; è vero che sono diminuite le rapine ma sono anche cambiate le modalità di circolazione del contante in farmacia: pos sempre più utilizzati e casse automatiche ne sono l’esempio più evidente. Da un punto di vista invece dei rapporti con gli associati devo francamente riferiti che soprattutto nella fase preelettorale di cinque anni fa, sia per qualche mese dopo le elezioni, avevo ammirato, e sperato che continuasse, una diversa capacità di comunicazione interna con un coinvolgimento maggiore degli associati alle decisioni dei vertici. Purtroppo, anche in questo caso mi sono dovuto ricredere. Infatti, nel suo programma di cinque anni fa l’attuale dirigenza di Federfarma Roma aveva assicurato almeno un’assemblea al mese che ancora stiamo aspettando: tranne due straordinarie ci siamo riuniti solo per approvare il bilancio. Hanno creato un gruppo chiuso su Facebook, al quale hanno accesso solo gli amici, dove si discutono anche argomenti di carattere sindacale con dirette da parte del presidente. A mio avviso, come ho avuto modo anche di riferire al diretto interessato, non è un modo corretto di comunicare: il presidente nel divulgare notizie inerenti la professione deve essere il presidente di tutti perché tutti coloro che pagano la quota associativa hanno diritto di essere trattati allo stesso modo.

Presenterete una lista di opposizione?

Abbiamo presentato le nostre candidature secondo la procedura elettorale modificata dal nuovo statuto dall’attuale dirigenza romana. È un sistema a mio avviso complesso e inutile con lo scopo di rendere più difficile il confronto elettorale per coloro che si vogliono proporre come alternativa. La convocazione con venti giorni di preavviso dell’assemblea elettiva aggiunge un’altra criticità importante. Vorrei evitare in tutti i modi uno scontro all’interno della categoria che sarebbe lacerante e non gioverebbe a nessuno, tantomeno alla causa comune.

Quali sono le priorità da affrontare a livello provinciale e a livello nazionale?

In primo luogo, ritengo che debbano cambiare i rapporti tra i rappresentanti sindacali e gli associati: spesso antipatie, rancori passati, diatribe interne, impediscono la collaborazione tra colleghi che invece dovrebbe basarsi solo sulla competenza, perché lo scopo di tutti è la tutela della farmacia. Questo è un danno enorme per la professione perché quando si ha l’onore e l’onere di rappresentare una categoria bisognerebbe superare eventuali contrasti e rancori considerando come unico valore dominante l’interesse collettivo. Entrando nello specifico della domanda, la vera priorità, oltre alle riforme della remunerazione e della convenzione per le quali, secondo me, le proposte presentate fino a questo momento hanno ancora importanti criticità da risolvere, è quella del rientro dei farmaci innovativi in farmacia non solo per una questione economica ma anche per l’immagine professionale: non possiamo continuare a dispensare solo vecchie molecole e generici. Mi piacerebbe anche una proposta, che non vedo avanzata mai, di inserimento di alcuni galenici in Ssn. Si valorizzerebbe la professione, consentendo la personalizzazione della terapia con le moderne preparazioni officiali e magistrali che nulla hanno da invidiare ai preparati industriali. A livello locale le priorità sono il rinnovo degli accordi Dpc e Webcare (per quest’ultimo mi auguro di non avere a breve brutte sorprese…) e la problematica delle farmacie notturne che, con la liberalizzazione degli orari, sta diventando una vera difficoltà: a Roma siamo passati dalle 84 farmacie notturne del 2011 alle attuali 12.

C’è un disinteresse, secondo te, da parte dei titolari nei confronti dei temi sindacali? Per quale motivo?

C’è un forte disinteresse da parte della base nei confronti dei vertici della categoria che stanno diventando sempre più autoreferenziali. Guarda cosa sta accadendo a Roma in questi giorni: dopo le dimissioni del presidente e quelle successive dell’intero Consiglio si sta facendo passare l’errato messaggio che quest’ultime fossero inevitabili in conseguenza delle prime e ciò non è assolutamente vero in base all’articolo 12 dello statuto che recita “in caso di vacanza di una o più cariche il Consiglio elegge i sostituti tra i propri membri”. Si ha l’impressione, se non la certezza, tra molti colleghi che tali dimissioni costituiscano un espediente per impedire o ritardare la formazione di liste concorrenti che hanno avuto a disposizione solo venti giorni (la pec che ha comunicato la data delle elezioni è stata inviata sabato sera 21 settembre e si convocava l’assemblea elettiva per il 10 ottobre…). E se questi metodi sono discutibili e difficilmente accettabili in politica risultano assolutamente incomprensibili nei rapporti fra colleghi, non solo tra coloro che desiderano confrontarsi nella competizione elettorale, ma anche tra gli altri farmacisti. Così come la modifica dello statuto voluta dall’attuale dirigenza romana nel quale oltre ad attribuirsi la retribuzione (per le quattro cariche) e i rimborsi per un valore, nel 2020, di oltre 110.000 euro (che poteva essere ridotto a mio avviso in questo periodo di grave crisi della farmacia, consentendo una contemporanea riduzione della quota associativa), inserisce anche le nuove modalità elettive che prevedono non solo la compilazione di un modulo con sei quesiti da inviare per pec all’associazione ma anche che la Consulta, espressione dell’attuale maggioranza, deliberi l’eventuale incompatibilità degli eletti. Sono solo due fra i tanti esempi, insieme al mancato coinvolgimento tramite assemblee e riunioni locali dei colleghi alle più importanti decisioni e criticità che investono la categoria, che determinano un allontanamento da parte dei farmacisti dai temi sindacali e dai vertici della categoria che sta diventando, nell’evidente disinteresse di quest’ultimi, irreversibile.

Perché non si è investito nella formazione di una classe dirigente di categoria?

Questa è una bellissima domanda: molti anni fa proponemmo un Corso di formazione che fu svolto con grande successo sia in Federfarma nazionale sia in Federfarma Roma. Non ebbe più seguito neanche con le nuove dirigenze ed è stato un errore perché le relazioni con la politica, le istituzioni, la comunicazione esterna e interna richiedono una preparazione adeguata e sempre più specifica.

Un’ultima domanda: cosa si aspettano oggi i titolari romani?

Meno diatribe interne, più rispetto verso i contributi di coloro che non si identificano nell’attuale maggioranza, maggiore coinvolgimento di tutti gli associati e in particolare dei colleghi che possiedono specifiche competenze, superando rancori e antipatie a tutela dell’interesse comune. Possiamo e dobbiamo avere idee diverse ma un sindacato non si governa a colpi di maggioranza e di statuto.

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