Wildcat Pharma ha giocato con me
Wildcat Pharma ha giocato con me
Una leggendaria partita di poker tra quattro giocatori che i farmacisti ben conoscono. Il beneficio che ciascun giocatore ne trae si riflette in una diminuzione delle fiches degli altri
I giocatori
Ornella Barra, Co-Chief Operating Officer, Walgreens Boots Alliance
Venanzio Gizzi, presidente di Assofarm
Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi
Marco Cossolo, presidente di Federfarma
Il Dealer:
Luigi Marino, senatore, membro della X Commissione permanente (industria, commercio, turismo) e relatore del Ddl Concorrenza
Luigi Marino, senatore, membro della X Commissione permanente (industria, commercio, turismo) e relatore del Ddl Concorrenza
I giocatori
Ornella Barra, Co-Chief Operating Officer, Walgreens Boots Alliance
Venanzio Gizzi, presidente di Assofarm
Antonello Mirone, presidente di Federfarma Servizi
Marco Cossolo, presidente di Federfarma
Il Dealer:
Luigi Marino, senatore, membro della X Commissione permanente (industria, commercio, turismo) e relatore del Ddl Concorrenza
Luigi Marino, senatore, membro della X Commissione permanente (industria, commercio, turismo) e relatore del Ddl Concorrenza
di Marcello Tarabusi e Giovanni Trombetta
Studio Guandalini (Bologna e Modena)
La partita a poker è appena cominciata, ma tutti sanno già che sarà leggendaria.
Con aria soddisfatta il Dealer, che a “Sette e mezzo” chiameremmo mazziere, può finalmente distribuire le carte. Di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo, come prevede il regolamento del Texas Hold’em, quattro giocatori, ciascuno con il proprio carico di fiches, rigorosamente celate alla vista degli avversari. Dopo 894 giorni il mazzo è certamente ben mescolato. L’aplomb del Dealer è inappuntabile e la sua giacca cade a perfezione, nonostante sia stata tirata più e più volte un po’ da tutti e un po’ da tutte
le parti. Luigi non è un Dealer professionista, nella vita si occupa d’altro: distribuisce regole, non carte; ma non ha voluto rinunciare al privilegio di vedere finalmente seduti di fronte a sé coloro che sanno perfettamente se la sua giacca è in fresco di Tasmania o in lino misto seta.
Il primo giocatore alla sua sinistra è un’affascinante signora. Non è un caso che abbia scelto la prima posizione di gioco, perché sarà sempre la prima a giocare all’inizio di ogni mano: è una posizione audace, che ti puoi permettere di occupare esclusivamente se in mano hai delle carte di peso; una puntata o un rilancio consistenti fatti da questa posizione sono un chiaro segno di forza e Ornella, questo il nome della prima giocatrice, lo sa bene.
Luigi, con tono garbato, le ricorda che la richiesta di giocare con puntate no-limit non è contemplata nel regolamento definitivo e che le puntate massime dovranno essere contenute entro il 20 per cento del valore che il garante comunicherà a ogni tavolo.
Le lunghe dita delle mani distese sul tavolo e la fierezza dello sguardo indirizzato al Dealer non lasciano dubbi sul fatto che Ornella quando si siede a un tavolo conosce molto bene regole e obiettivi. All’osservatore attento non sfugge però, nonostante l’ostentazione di calma olimpica, il quasi impercettibile tremolio delle dita; in gergo si chiama “tell”: segno inequivocabile che ha in mano carte davvero importanti.
Nascosto dietro a un occhiale Persol con lenti scurissime, nella postazione successiva siede Venanzio, il secondo giocatore. Dei quattro è forse quello che ha meno da perdere, quindi quello più imprevedibile, da cui ci aspettiamo le chiamate meno legate alla tattica di breve respiro. Venanzio non teme la pressione del gioco, nella vita ha affrontato altri terremoti e ha imparato che il colpo inferto con la prima mano condiziona la stabilità del palazzo. Il suo agire in maniera apparentemente disinteressata, guardando altrove ed evitando il contatto con gli occhi degli altri giocatori, la dice lunga sulla sua esperienza. Nulla lascia trapelare circa la bontà delle sue carte.
Elegantissimo nel suo completo gessato, cucito su misura come la tradizione delle migliori sartorie campane impone, il terzo giocatore. Non avrebbe voluto iniziare la partita proprio adesso, perché per lui la condivisione della strategia di gioco è fondamentale: il suo stile sarebbe certamente più vocato per un gioco di natura cooperativa, in cui gli interessi dei giocatori non sono in opposizione diretta tra loro, ma – come insegna la teoria economica – la collaborazione sarebbe più proficua della competizione. La partita iniziata oggi, però, è invece un tipico gioco competitivo a somma zero: il beneficio che ciascun giocatore ne trae necessariamente si riflette in una diminuzione delle fiches degli altri. L’occhiata benevola di Luigi ci indurrebbe a pensare che, forse, i due si conoscano già e che su altri tavoli, dove il valore delle puntate non è misurabile in fiches, hanno probabilmente avuto modo di condividere esperienze, la cui indubbia utilità è però assolutamente estranea a questo gioco. Antonello, così si chiama il terzo giocatore, sa che durante la prima partita dovrà prestare la massima attenzione a non trovarsi under the gun, cioè sotto il tiro del primo giocatore. Ne è consapevole, ma lo sanno anche i giocatori in posizione due e quattro. A dispetto della perfetta inappuntabilità dell’abito, infatti, tiene le sue carte in maniera disordinata (sembra quasi che le carte non vogliano dialogare tra loro), indizio abbastanza chiaro che sarebbe sua intenzione passare la mano.
È il momento in cui Luigi si volge al quarto giocatore. Sapeva già che la giocatrice designata al momento dell’iscrizione al torneo, due anni e mezzo fa, è stata sostituita. Luigi, che non conosce così bene i meccanismi di designazione del giocatore, è però leggermente spiazzato perché pensava di trovarsi di fronte a un vecchio conoscente, che ha incontrato e che tuttora frequenta nelle sale dei regolamenti, quelle in cui entrambi spendono assieme il proprio impegno quotidiano. Marco, questo è il nome del quarto giocatore, incrocia lo sguardo di Luigi senza battere le palpebre; conosce le regole della partita, le ha studiate quando ancora non si immaginava che sarebbe toccato proprio a lui il gravame di questa sfida. La sua abilità di giocatore non è nota, ma conosciamo chi garantisce per lui e tanto basta. È il giocatore che deve applicarsi con maggior tattica, perché è quello che ha le più varie soluzioni di gioco. Ma anche gli altri lo sanno e infatti gli occhi di tutti sono fissi sulle sue spalle e sul ritmo della sua respirazione; leggermente accelerato ma regolare. Sa quel che fa.
Ora anche noi ci stiamo appassionando a questa partita, immaginando che il gioco non aprirà con un check (così si designa nel Texas Hold’em il passaggio della mano da parte del primo giocatore): ci sarà invece una call, ossia una puntata. Certamente nessuno può permettersi il lusso di abbandonare la mano.
Questa è la leggendaria partita a cui prendono parte i giocatori più temibili, quelli che – come il celebre Wildcat Hendricks del film Lo chiamavano Trinità – sono “più abili che fortunati”.
La nostra attenzione non può e non deve però limitarsi a osservare ciò che accade a questo tavolo, perché – pur importantissimo, anzi certamente il più importante – non è il solo nel quale si celebreranno le sorti del sistema farmacia.
A questo tavolo, pur importantissimo, anzi certamente il più importante, non è il solo nel quale si celebreranno le sorti del sistema farmacia
Altri tavoli
Prendete per esempio il tavolo in cui si siederanno (perché si siederanno) le cosiddette software house gestionali. Cercheranno nuove alleanze con altre realtà, o proveranno a chiudere il cerchio alleandosi e stringendosi attorno all’esistente? Fino a oggi hanno sostenuto una fiera competizione tra loro, cercando di sostituirsi l’una all’altra nella relazione commerciale con le farmacie, ma il mercato aveva ormai raggiunto un equilibrio relativamente stabile. Cosa cambierebbe se una delle più quotate si aprisse a un nuovo potenziale interlocutore (Fondi di investimento, Gdo, trasportatori, mondo bancassicurativo, solo per fare esempi estemporanei…) e cercasse di entrare nella filiera proprietaria del sistema? Come reagirebbero le altre?
Nel momento in cui cambiano le regole concorrenziali e si apre il mercato, tutto il sistema diventa imprevedibile: secondo un antico adagio, l’uomo pianifica e Dio ride.
La teoria dei giochi
Chi ha avuto la sorpresa di ritrovarci sulle pagine di questa bella rivista, magari ha già avuto modo di leggere – in tempi assai lontani e su altre pubblicazioni – le nostre riflessioni a proposito della cosiddetta teoria dei giochi, cioè «la scienza matematica che studia e analizza le decisioni individuali di un soggetto in situazioni di conflitto o interazione strategica con altri soggetti rivali, finalizzate al massimo guadagno di ciascun soggetto, tali per cui le decisioni di uno possono influire sui risultati conseguibili dall’altro/i, che in particolare nel contesto economico si riferiscono al caso in cui due o più aziende interagiscono in concorrenza tra loro» (questa la definizione un po’ scolastica e verbosa, ma sostanzialmente corretta, che offre Wikipedia). Scrivemmo di “Equilibrio di Nash” già nel 2008 (e prima di allora ne parlammo, 10 anni fa esatti, a Napoli il 4 ottobre 2007), ma oggi più che allora l’argomento torna di grande attualità. Nella teoria dei giochi si definisce Equilibrio di Nash un profilo di strategie (una per ciascun giocatore) rispetto al quale nessun giocatore ha interesse a essere l’unico a cambiare. Un gioco può essere descritto in termini di strategie che i giocatori devono seguire nelle loro mosse: l’equilibrio si verifica quando nessuno riesce a migliorare in maniera unilaterale il proprio comportamento e le proprie utilità, ma per cambiare occorre agire insieme.
Nel 2008, in maniera un po’ scanzonata, per stigmatizzare l’immobilismo del sistema e l’impossibilità di renderlo collaborativo, rappresentammo il sistema farmacia all’interno del “dilemma del prigioniero” (vedi box) per cercare di darne una spiegazione economica individuandone un appropriato modello.
Nel 2008, in maniera un po’ scanzonata, per stigmatizzare l’immobilismo del sistema e l’impossibilità di renderlo collaborativo, rappresentammo il sistema farmacia all’interno del “dilemma del prigioniero” (vedi box) per cercare di darne una spiegazione economica individuandone un appropriato modello.
Nel sistema farmacia, quali saranno i mondi in grado di “parlare” piuttosto che patire obtorto collo i nuovi standard di concorrenzialità? Se il dilemma del prigioniero è un modello economico e quindi presumibilmente noto ai laureati in economia e commercio, come si organizzeranno, per esempio, i commercialisti di settore? Quali iniziative potranno porre in essere a esempio per tutta la filiera? Sul prossimo numero ci occuperemo, assieme a Giuliano Guandalini, proprio di questo aspetto. Possiamo però anticipare fin da ora che non ci pare consentito, quando si ha il mazzo delle carte in mano, dare la risposta seccata di Kirk Douglas/Doc Holiday allo sceriffo in Sfida all’Ok Corral: «Questo gioco si chiama solitario».
Il dilemma del prigioniero
Sintetizzando l’esempio, le possibili scelte per due prigionieri in celle diverse non comunicanti sono confessare (accusando l’altro) o – come direbbe il Commissario Montalbano – «ristare mutanghero». I risultati possibili sono così schematizzati:
• se entrambi non parlano avranno una pena leggera ciascuno (1 anno);
• se entrambi confessano, accusandosi a vicenda, avranno una pena pesante (6 anni);
• se fanno scelte diverse, quello che confessa avrà la libertà (zero anni) e l’altro avrà una pena leggermente più pesante (7 anni) che non se avessero confessato entrambi.
Se entrambi conoscono queste regole e non prendono accordi, la scelta che corrisponde all’equilibrio di Nash è di parlare, per entrambi. Da questo esempio si vede che la teoria nei casi reali non è sempre la soluzione migliore (o talvolta non è sufficientemente realistica).